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Jiu Jitsu

2020
REGIA:
Dimitri Logothetis
CAST:
Alain Moussi as (Jake Barnes)
Frank Grillo (Harrigan)
JuJu Chan (Carmen)

Il nostro giudizio

Jiu Jitsu è un film del 2020, diretto da Dimitri Logothetis.

Ogni sei anni, un antico ordine di combattenti jiu-jitsu unisce le forze per sconfiggere una feroce razza di invasori alieni. Ma Jake Barnes (Alain Moussi), maestro di arti marziali, ha perso la memoria dopo un incontro con Brax, una temibile creatura aliena, e viene adesso catturato da una squadra militare. Wylie (Nicolas Cage) e l’ordine jiu-jitsu devono quindi aiutarlo a recuperare la memoria per poi sconfiggere insieme il pericoloso Brax. Un critico cinematografico, credo, dovrebbe cercare sempre la bontà nel marcio. Salvare il salvabile, anche solo un’inquadratura degna di nota, una battuta pronunciata al momento giusto, uno spunto interessante nello sviluppo della trama. Per evitare quel sadismo e quello snobbismo che macchiano tanta critica, ma anzitutto per rispetto verso l’opera (o il prodotto) in analisi e, quindi, verso i suoi autori. Ma le migliori intenzioni di un critico non bastano: il rispetto, si sa, bisogna guadagnarselo. Certe volte, semplicemente, non c’è niente da salvare.

E’ il caso di Jiu Jitsu, l’ultimo film ad alto tasso di testosterone, che mescola inutili vignette di intermezzo, soggettive da spara-tutto e scazzottate interminabili per 102 minuti al limite della sopportazione umana: espedienti fumettistici, videoludici e momenti cari al cinema action anni ’90 sono impastati insieme da mani indifferenti. La sensazione generale che permea il film di Dimitri Logothetis è quella di un profondo analfabetismo cinematografico, tra montaggio sgrammaticato, CGI amatoriale e narrazione aritmica. I tagli nascosti tra un’inquadratura e l’altra per vendere l’idea di un piano-sequenza (adesso che va tanto di moda) sono a dir poco imbarazzanti, ma c’è spazio anche per inquadrature capovolte e piroette della macchina da presa che farebbero ridere persino Gaspar Noè.  Sia ben chiaro, non siamo davanti ad alcun virtuosismo autoriale: a farla da padrone è solo l’incapacità di scegliere punti di vista efficaci, con un regista che nasconde la sua incertezza dietro una sovrabbondanza di inquadrature, di stili e di soluzioni narrative al limite del ridicolo.

Non il nuovo Natural Born Killers insomma, ma piuttosto il film del mestierante che ha appena scoperto la steadycam. E la sceneggiatura non è certo più convincente, sempre combattuta tra i toni del grottesco e quelli dello spettacolo più puerile e adrenalinico, muovendosi di fatto in quel limbo insopportabile tra il trash volontario e le pretese hollywoodiane. La trama è solo un pretesto per dare libero sfogo a calci rotanti e scazzottate incredibili, ma i combattimenti infiniti e tra loro intercambiabili stenderebbero un mulo. Smettiamola di confondere il cinema trash con questi figli abortiti di Hollywood: questa è immondizia. E’ questo il cinema contro cui dovremmo combattere, il cinema della violenza senza violenza, fatto di sangue in digitale e muscoli pompati che, anche stavolta, qualche critico statunitense ha osato difendere. Contenti loro…