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Ipersonnia

2022
REGIA:
Alberto Mascia
CAST:
Stefano Accorsi (David Damiani)
Caterina Shulha (Viola)
Astrid Meloni (Dottoressa Levi)

Il nostro giudizio

Ipersonnia è un film del 2022, diretto da Alberto Mascia.

Parliamoci chiaro: nonostante le buone intenzioni, la fantascienza non è propriamente un genere con cui noi abitanti dell’italico stivale abbiamo particolare dimestichezza. Si certo, come dimenticare la gloriosa seppur fugace stagione della mitica sci-fi all’amatriciana, inaugurata con fiera artigianalità dalla strana coppia Bava-Margheriti e portata più o meno decentemente verso il pensionamento anticipato da quel gran cultore di Luigi Cozzi. Ma, nostalgiche meteore a parte, ogni qual volta un qualche coraggioso cinematografaro del Bel Paese ha tentato di improvvisarsi un novello Kubrick o un improbabile erede di Ridely Scott, ecco che, ad eccezione di alcuni allegorici esperimenti esistenzialisti come L’ultimo terrestre di Gipi o Tito e gli alieni di Randi, i risultati si sono rivelati pressoché disastrosi, tra improbabili deliri esoterico-complottistici (6 giorni sulla Terra, Vitriol), techno trap-movie al limite del plagio (Andròn: The Black Labyrinth) e debordanti kolossal new age ancora misteriosamente inediti (Creators – The Past). Ed è per questo che non si può fare a meno di accogliere con viva curiosità e sincero rispetto un promettente autore come Alberto Mascia che, con un’opera onesta e ambiziosa come Ipersonnia, sceglie intelligentemente di fuggire lontano anni luce da navi spaziali, multiversi e pirotecniche esplosioni a gravità zero, confezionando piuttosto una fredda, cupa e desolata riflessione su di un domani che altro non è se non metafora di un oggi sempre più in balia di allucinanti derive degne di una puntata di Black Mirror.  È infatti un paese marcescente e senza più alcuna apparente speranza quello immaginato da alcuni nostri conterranei cineasti che, così come il Claudio Cupellini di La terra dei figli e l’Alessandro Celli di Mondocane – senza dimenticare ovviamente l’ironica rilettura in chiave di allegoria ambientalista del Virzì di Siccità –, ci propongono con sempre maggiore insistenza (e forse anche lungimiranza) un’inedita e terrificante Italia post-apocalittica nella quale vige ormai la terribile legge di natura dell’homo homini lupus, dove ogni scampolo di umanità sembra essersi estinto in favore dei più bassi istinti di sopravvivenza.

Ed è un’Italia ugualmente distopica, seppur non apparentemente così disastrata, quella proposta da Mascia nel gelido e orwelliano universo di Ipersonnia: un’Italia anonima, asettica e del tutto impersonale, nella quale, in un prossimo e tutt’altro che improbabile futuro, per far fronte alla piaga del sovraffollamento carcerario – tematica più che mai di attualità – lo Stato pare aver deciso, sotto la guida del Ministro Costa (Tony Laudadio), di optare per il rivoluzionario programma Hypnos, il quale prevede la criogenizzazione forzata in sonno profondo dei detenuti, al fine di ridurne la recidività e i costi di mantenimento. Lo psicologo David Damiani (Stefano Accorsi), responsabile del risveglio periodico dei condannati, mantiene nel frattempo una relazione segreta con Viola (Caterina Shulha), moglie del detenuto 517 (Paolo Pieribon), un neurologo accusato forse ingiustamente di omicidio che parrebbe aver raccolto prove schiaccianti circa l’oscura entità del programma di criosonno. E sarà proprio l’efficiente e ignaro David a sperimentare a proprie spese le nefaste e inimmaginabili conseguenze di questo apparente complotto governativo, dimostrando come, in nome della sicurezza e del benessere collettivo, gli occulti uomini di potere paiono disposti a sacrificare ogni cosa, anche il più puro e inviolabile valore dell’umana natura. Senza voler nascondere alcuno scheletro nell’armadio, è un immaginario dichiaratamente derivativo quello plasmato da Mascia con il suo Ipersonnia che, a cominciare dall’inquietante tematica del sonno coercitivo germogliato fra le pagine del seminale Svegliatevi dormienti di P.K. Dick, non può che riportarci subito alla mente i criminali surgelati del testosteronico Demolition Man, così come anche la terrificante distopia di una simulazione onirica a scopo contenitivo che non ha mai mancato di popolare i grandi e piccoli schermi di pessimistiche previsioni circa la deriva tecnologica di un’umanità sempre più assoggettata allo strapotere dei non meglio precisati Poteri Forti.

Ed è per questo che, tolta una prima parte in cui la materia prettamente fantascientifica viene messa in scena con asciutto e composto minimalismo – dettato, più che da concreti limiti di budget, dalla lucida volontà di concentrarsi sul tessuto narrativo e sulla psicologia dei personaggi –, il film si trasforma lentamente ma inesorabilmente in un nebbioso e avvolgente noir sempre più sospeso fra sogno e realtà, sintomo di una mente annebbiata e, forse, alterata proprio dalle conseguenze di un criosonno non poi così tanto innocuo come si vorrebbe far credere. Ed è su questo sottile velo di Maya, sempre pronto a squarciarsi da un momento all’altro, che si mantiene pericolosamente in equilibrio uno Stefano Accorsi disorientato e vulnerabile tanto quanto il Bill Pullman del lynchano Strade Perdute, come lui sperduto nell’onirico labirinto di una detection in cui, osservando misteriose manifestazioni (forse) allucinatorie palesarsi su freddi schermi di sorveglianza così come il John Turturro del Fear X di Refn e aggrappandosi ad un sibillino e sbiadito indizio fossilizzato in una criptica fotografia come il Guy Pearce del nolaniano Memento, cercherà di sbrogliare il bandolo di questa intricata matassa.  Come il disperato Hugh Jackman di Reminiscence, disperatamente aggrappato ai pochi e spesso ingannevoli frammenti di ricordi ormai sbiaditi, anche il nostro (anti)eroe, sperduto in una società dove tecnologia e morale hanno da tempo preso due percorsi separati, dovrà fare i contri con ciò che Einstein a suo tempo – e molto più modestamente lo stesso Mascia con questa sua interessantissima opera seconda – ha voluto profeticamente ricordarci, ovvero che: “la realtà è una semplice illusione, sebbene molto persistente”. Un’opera non certo priva di difetti e passi falsi, pronti inevitabilmente ad emergere e a concretizzarsi soprattutto in un epilogo forse fisiologicamente ingenuo e non coraggioso come avrebbe potuto essere, riuscendo tuttavia a intessere una narrazione incalzante ed estremamente coinvolgente che, sostenuta da una regia e una messa in scena di ottimo mestiere, confermano come non servano per forza alieni, raggi laser e fantastiliardi per realizzare della buona ed onesta fantascienza alla carbonara.