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Inu-Oh

2021
Titolo Originale:
犬王 Inu-ō
REGIA:
Masaaki Yuasa
CAST:
Avu-chan (Inu-Ō)
Mirai Moriyama (Tomona)
Kenjiro Tsuda (Padre di Inu-Ō)

Il nostro giudizio

Inu-Oh  è un film del 2021 diretto da Masaaki Yuasa

Nel panorama internazionale non capita spesso di imbattersi in opere dotate di una tale originalità, da qualsiasi punto di vista, come l’ultimo film del regista e animatore giapponese Masaaki Yuasa, Inu-Oh, presentato nella sezione Orizzonti alla 78ª edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Non è ovviamente una novità, la sua tendenza a ricercare storie particolari, raccontate con uno stile di animazione assolutamente riconoscibile – possiamo ricordare, per esempio, la serie anime Ping Pong the Animation (2014), che racconta le vicissitudini di due amici appassionati, curiosamente, del tennis da tavolo; le psichedeliche divagazioni del suo primo film, Mind Game (2004), ma anche le serie Kaiba (2008) e Tatami Galaxy (2010), con cui si è fatto conoscere al grande pubblico, senz’altro dotate di grande eccentricità visiva e narrativa. Il presupposto del film è un romanzo del visionario autore giapponese Hideo Furukawa, di argomento senz’altro storico. Si parla, infatti, delle vicende del precursore del teatro Nō, che si può individuare nella tradizione orale con accompagnamento del liuto biwa. Il tempo della narrazione è il XIV secolo, che spesso, però, si interseca con le epiche vicende oggetto dei canti della Heike monogatari, ovvero la rivalità tra i clan Genji e Heike per il potere sul Giappone, due secoli prima. I temi affrontati  sono numerosi e per questo motivo alle volte confusi (come alcune parti di trama, che paiono poco chiare), ma convergono e trovano unità nella musica. Opere così musicali, non sono una novità del regista, ma anzi, ne continuano una riflessione costante, già ritrovata soprattutto nei suoi ultimi Lu e la città delle sirene (2017) e Ride Your Wave (2019). La narrazione ha un’anima duplice, che  si intreccia e si contamina in una forma nuova e curiosa. Sono, chiaramente, individuabili due parti differenti con due ritmi completamente diversi, tanto che potrebbero sembrare opere distinte se non fosse per l’animazione, i personaggi e la continuità di trama. La prima, quasi picaresca, segue le avventurose vicende del giovane suonatore di biwa Tomona e il modo in cui la sua esistenza si incrocia con quella del misterioso essere deforme Inu-Ō; nella seconda parte, invece,  il film prende le sembianze di una rock-opera curiosamente anacronistica, che vede protagonisti proprio i due personaggi.

Questi hanno storie e passati completamente diversi, ma per entrambi i valori e i bisogni convergono nell’arte performativa, ovvero la danza per Inu-Ō e la musica per Tomona. Curiosamente, quest’ultimo non è in grado di vedere (che è il motivo per cui è l’unico che riesce ad avvicinarsi all’altro protagonista, con sembianze mostruose) e quindi non è nemmeno in grado di godere a pieno della capacità di Inu-Ō. È proprio qui che entra in gioco la grandissima capacità rappresentativa di Yuasa, che mette in scena un film molto basato sui sensi: spesso, noi spettatori, siamo catapultati nella modalità esperienziale di Tomona, attraverso dei disegni che si modellano e prendono forma man mano che i suoi sensi (oltre la vista) captano informazioni. Emerge, dunque, una situazione paradossale, ma di forte impatto, per cui viene utilizzato il senso della vista per rappresentare suggestioni provenienti da tatto, olfatto e soprattutto udito, che è la principale modalità di espressione e di conoscenza del giovane suonatore di biwa (non è casuale che sia un musicista: in modo molto consequenziale e un po’ cristallizzato, la sua limitazione diventa il suo punto di forza). Viene, per esempio, in mente la scena del primo incontro tra i due protagonisti: lo schermo nero è progressivamente riempito e Tomona, con un procedimento a base di tentativi ed errori, riesce a comporre la forma peculiare di Inu-Ō, da cui non appare per nulla spaventato, rispetto agli altri personaggi. Una rappresentazione plastica e malleabile di questo tipo emerge in altri punti, anche in situazioni non legate alla cecità. Il mostro, infatti, si rimodella sia fisicamente sia in modo identitario (vengono lambite anche questioni di identità di genere e transessualità, nel momento in cui assume sembianze prettamente femminili) nel corso della trama, e tutto ciò avviene grazie alla forza espressiva dell’arte, e in particolare della musica rock.

Inu-Ō riesce ad assumere una dimensione umana e corporea (comunque ancora modellabile) proprio in virtù della musica rock e del suo rapporto trasgressivo con una tradizione paralizzante. È anche nel rapporto tra tradizione e innovazione che si gioca un ulteriore elemento di duplicità. C’è un grande legame, soprattutto per Tomona, nei confronti dei valori dei padri e degli antenati: in particolare emerge la sua volontà di suonare e cantare di un tema della tradizione, così come il suo forte attaccamento con la comunità di cantori anziani. La tradizione, però, a volte risulta essere troppo stringente, soprattutto se usata in modo strumentale da chi detiene il potere, come il caso dello shōgun e delle élite culturali, ostili alle rappresentazioni dei due. La musica rock e la totale adesione a forme in un certo senso d’avanguardia risultano l’unica via percorribile per l’espressione della propria identità (fondata certamente anche sui valori della tradizione), che si conclude in un commovente inno al valore universale e atemporale dell’amicizia. L’opera, in questo continuo gioco di contaminazioni tra nuovo e antico, trova man forte proprio dell’animazione, che risulta molto eterogenea: tratti delicati, che ricordano una più tradizionale maniera di dipingere giapponese, si alternano a mutevoli, violente e graffianti linee.