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Interchange

2016
Titolo Originale:
Interchange
REGIA:
Dain Iskandar Said
CAST:
Shaheizy Sam
Nicholas Saputra
Prisia Nasution

Il nostro giudizio

Interchange è un film del 2016, diretto da Dain Iskandar Said

C’è del marcio in Malesia. Una serie di omicidi a sfondo rituale, con i cadaveri creativamente sfigurati, mutilati e prosciugati del sangue, come se qualcuno l’avesse risucchiato. Qualcosa di primitivo e tribale sta avvenendo tra i grattacieli high tech di Kuala Lumpur, nei suoi locali à la page come quello di spettacoli di drag queen dove viene ritrovato il primo cadavere. Riemergono inquietanti entità da un lontano passato. Riti sciamanici, un campionario da un’etnografia raccapricciante, creature fantastiche. Le premesse per un angosciante thriller soprannaturale ci sono tutte, in Interchange, così come fa ben sperare l’impianto dichiaratamente hitchcockiano del film. Che passa da La finestra sul cortile, con il novello James Stewart che scatta foto con il teleobiettivo alle finestre del palazzone di fronte, per arrivare a Gli uccelli. La detection passa proprio dall’ex fotografo della polizia scientifica che aggiorna l’estetica hitchcockiana con una odierna macchina fotografica digitale e con un cortile rappresentato dall’architettura modernista dell’edificio antistante.

E l’indagine si dipana attraverso la giustapposizione dei suoi scatti allineati alla parete e messi in relazione con quelli delle autopsie. Lo stesso procedimento fotografico, i negativi impressi su lastre di vetro, si colora di significati fantastici, nella possibilità di catturare e imprigionare gli spiriti e conferire immortalità. E l’indagine assume così un sapore etnografico. Interchange comincia molto bene, con un ritmo narrativo ansiogeno, che si sviluppa a suon di elissi, con un’atmosfera cupa e misteriosa, e con l’aggiornamento della dimensione urbana tentacolare, la città nuda, del noir classico. Ma il film naufraga nella sua stessa ambizione e nel tentativo pretenzioso di elevarsi dal cinema di genere e farsi portatore di significati universali.

Tentativo che partorisce scempiaggini come chiamare i protagonisti Adam, Iva e Man, oltre a una serie di soluzioni narrative, nella parte finale, una più trash dell’altra. La contrapposizione tra antico e moderno, l’irrazionale che irrompe nel quotidiano, nella frenetica vita metropolitana che ha seppellito ogni residuo di superstizione: funzionano come ingredienti di una suspense del mistero ma nulla di più. E non aiuta certo la CGI mediocre con cui sono ricreati gli uomini uccello. Decisamente più riuscito di Interchange il, pur altrettanto ambizioso, precedente film del regista Dain Iskandar Said, Bunohan: Return To Murder, passato al Far East Film Festival