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Inheritance

2020
REGIA:
Vaughn Stein
CAST:
Lily Collins (Lauren Monroe)
Simon Pegg (Morgan Warner / Carson Thomas)
Connie Nielsen (Catherine Monroe)

Il nostro giudizio

Inheritance è un film del 2020, diretto da Vaughn Stein.

Le buone intenzioni non bastano. Lo dovrebbe dire qualcuno al semi-esordiente Vaughn Stein e agli autori di Inheritance, che di buono ha una storiella intrigante e poco altro. Si parla di un’eredità di famiglia, come suggerisce il titolo: è quella che Lauren, una giovane avvocatessa di successo, deve gestire dopo la morte del padre. Scheletri in cantina, più che nell’armadio: in una botola nascosta nel giardino della magione di famiglia vi è nascosto qualcuno, un Simon Pegg irriconoscibile e incatenato al muro. Cosa ci fa lì? A Lauren e allo spettatore il compito di risolvere il mistero, che incalza e trascina sin da subito. La premessa tirata fuori dall’attore/sceneggiatore Matthew Kennedy, autore dello script, è una di quelle che fanno colpo nell’immediato, a dispetto della sua implausibilità. Il problema, però, non è tanto dove i pezzi del racconto stanno, ma come vi sono posizionati: le idee accattivanti, d’altronde, bisogna saperle sviluppare adeguatamente.

Si dia a Cesare quel che è di Cesare: Inheritance è un prodotto curato e ben confezionato. Non è scontato, considerato che Stein è al secondo lungometraggio. Scivola liscio senza annoiare, dalla premessa fino alla risoluzione: ancora meno scontato. Sorprende soprattutto la professionalità nella direzione dei due attori principali: Lily Collins, che alla protagonista Lauren dona una personalità decisamente sopra la media, e Pegg, particolarmente a suo agio e sopra le righe nel ruolo iper-classico di un fascinoso manipolatore (o forse no?) di cui ci si fida solo a tratti. Sono tutte note positive in una composizione che purtroppo non suona come dovrebbe. Inheritance è uno di quei casi in cui è facile discernere quello che va e quello che non funziona, perché i problemi veri del film sono sostanzialmente tutti di sceneggiatura. Le premesse interessanti sono spesso quelle più problematiche in fase di scrittura. Questa qui, poi, è particolarmente complicata da gestire, troppo assurda per essere approcciata seriamente ma troppo concreta per poterne fare un gioco. Inheritance si perde in questo solco non da poco: vi affoga lentamente col passare del tempo, a colpi di plot twist assurdi e caratterizzazione di sottigliezza pachidermica.

Dispiace dover dire male del lavoretto di Stein, che di per sé è evidentemente uno che sa il fatto suo. È un peccato, soprattutto, perché lo scheletro drammatico della vicenda è abbastanza solido da travalicare gli evidenti limiti di scrittura, in termini di intrattenimento: in parole povere, il racconto intriga. Bisognava gestire meglio lo sviluppo narrativo, magari giocando di più con i limiti dell’incredulità spettatoriale e palesando l’inconsistenza realistica della storia. Perché l’inghippo principale, in fondo, è che a un certo punto l’immersione si frantuma. Pegg (che aveva recitato anche nel film precedente del regista) fa di tutto per costruire col suo personaggio un perno per la partecipazione dello spettatore, ma nemmeno lui può nulla contro la gestione squinternata della storia. Un colpo di scena troppo tirato, una svolta mal segnalata e tutto va in malora. A sentire le interviste rilasciate,la passione di Stein per i propri progetti non è certo poca: ci si augura, quindi, che alla prossima le sue qualità di regista possano essere applicate su materiale un po’ più valido.