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Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto

1970
Titolo Originale:
Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto
REGIA:
Elio Petri
CAST:
Gian Maria Volontè (Il Dottore - Former head of homicide squad)
Florinda Bolkan (Augusta Terzi)
Gianni Santuccio (Questore)

Il nostro giudizio

Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto è un film del 1970, diretto da Elio Petri

«Alle ore sedici di domenica 24 agosto io ho ucciso la signora Augusta Terzi, con fredda determinazione. La vittima si prendeva sistematicamente gioco di me. Ho lasciato indizi…, non per fuorviare le indagini, ma per provare… “non per fuorviare le indagini”, ma per provare, “per provare, provare”… per provare, ‘per provare…, provare!’, la mia in-so-spet-ta-bi-li-tà, ‘la mia insospettabilità!…». Il registratore acceso sull’autoconfessione; la fronte sudata di Gian Maria Volonté, l’encomiabile rappresentante della Legge, che ascolta febbrilmente, annuendo, gesticolando, stringendo i denti, infine sovrapponendo la voce viva, su quella registrata. Inizia, così, con questo contorcimento paranoico, che viene ad affacciarsi nella forma cinematografica “sventrata” di un giallo di inchiesta poliziesca, la grande cerimonia della rappresentazione ensoriana del “politico”. L’alveo dell’attualità in cui si situa è il groviglio seguente al ’68 e Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto è radicato sino in fondo nella cronaca socio-politica di quello, uscendo in concomitanza a eventi emblematici quali saranno la strage di Piazza Fontana, la morte di Pinelli e i tentativi di golpe. La “sfida” del protagonista del film, la sua partita a scacchi, approntata “per riaffermare in tutta la sua purezza il concetto di autorità”, è la sfida di un cinema che gioca sul filo del rasoio per incidere sulla realtà con la sua possibilità di critica. Per farlo, i due registri, quello realistico e quello espressionistico, tendono verso un unico punto focale. Si conclama così magnificamente la collaborazione di Elio Petri-Ugo Pirro-Gian Maria Volonté, una triangolazione innervata dalla volontà di portare in scena una parabola intorno alla sostanza del potere, ai suoi dispositivi gerarchici, repressivi, giocati sui rapporti intercorrenti con la categoria del “godimento” e sulla gestione strumentale e fondativa del “sapere”.

Un film di enorme successo, premiato con l’Oscar, soprattutto grazie a un taglio che si apparenta ai criteri del cinema americano. Dopo un prologo asciutto, dove si compie quasi nel silenzio la scena-perno, sottolineata dalla pirotecnica fonetico-musicale di Ennio Morricone, il film si biforca in due direzioni: da un lato, il grottesco manifestarsi psicoanalitico del senso di colpa del protagonista, che a ritroso rivive attraverso i flashback i momenti passati assieme all’amante che ha ucciso e la volontà di mettere “le vecchie mutande” dei colleghi della “omicidi” sulle sue tracce. Dall’altro, prosegue una traiettoria più propriamente di “denuncia politica”, inserendo come sfondo diversi dati inquietanti che vengono intrecciati alla matericità di una storia in cui si riconoscono derivazioni letterarie da Dostoievskij, Borges, Kafka. L’azione avviene tutta sul corpo “in metamorfosi” del poliziotto scelbiano alla Calabresi interpretato dal magnifico Volonté, che si diverte nella sovraeccitata onomatopea di una scala irresistibile di atteggiamenti riconoscibili. Il suo gesto è un esame politico, al cui interno avviene anche una catarsi emotiva. La gravità dei tempi («in questa società non si uccidono solo puttane, si uccide l’Ordine») lo costringe infatti, da servo-modello della Legge, a dover cambiare pelle e superare, come dice Fofi, il mandato che gli viene dato dalla borghesia.

Il retaggio “borbonico”, da “questurino e burocrate del basso impero”, è destinato a lasciare il passo. Occorre diventare più scientifici, più politici. Gli strumenti sofisticati per un controllo capillare ci sono già (gli infiltrati, l’apparato-spia), gli umori reazionari pure (il ritratto dell’”orbo veggente” D’Annunzio, nell’ufficio del capo della polizia, dove egli accenna in maniera sibillina alla debolezza strutturale del governo). Serve una strategia complessiva, ma prima necessita misurare le forze, accertare la rete, sperimentare i salvagenti di emergenza. In pratica, quello che lui esegue è un esame per passare al sotto-Stato, dal mero ufficio politico ai servizi occulti. Lo si vedrà nel vero finale che chiude il film, con l’abbassarsi della tapparella di una stanza di casa sua, dove ha chiamato a raccolta i vertici della polizia, che guarda adesso severamente dritto negli occhi. L’incubo precedente chiude semmai, con la tirata di orecchi e la manciata di sale ingoiata, l’ “iniziativa” presa senza ordini, il suo stato psicologico combattuto, la nevrosi che si agita nel teatro della sua coscienza. Si è parlato tanto di uscita “metafisica”, a noi davvero non sembra proprio.