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Incarnate

2016
Titolo Originale:
Incarnated
REGIA:
Brad Peyton
CAST:
Aaron Eckhart (Dr. Seth Ember)
Carice van Houten (Lindsay Sparrow)
David Mazouz (Cameron Sparrow)

Il nostro giudizio

Incarnate è un film del 2017, diretto da Brad Peyton

A 40 anni passati dalla sua uscita, L’esorcista di William Friedkin è flagellato dalla maledizione che colpisce tutti i prototipi di un genere, quello di essere ripetuto e (ri)copiato. Se non che, assistiamo, nei tempi più recenti, a una scoperta di territori delle storie delle possessioni demoniache che ancora non risultavano esplorati. In questa direzione tendono la bussola la serie The Exorcist – reboot/sequel del classico di Friedkin, da cui tutto ha inizio e a cui paradossalmente tutto ritorna – e il nuovo film sfornato dalla factory della Blumhouse, Incarnate. Entrambi – non per primi ma con un intento sistematico che è raro trovare e che è sospetto nella loro contemporaneità, a conferma che le idee vagano nell’aria – si discostano dalle centinaia di emuli esorcistici per un’attenzione a una delle fasi della possessione demoniaca più trascurata dalle narrazioni, quantomeno quelle cinematografiche, forse perché meno spettacolari e circensi dal punto di vista visivo: l’adescamento, l’attrazione della vittima nella rete del demonio. Un rischio a cui la casa di produzione di Jason Blum ci ha ormai abituato: che se ne parli bene o male, non si può negare che con i suoi continui, anche se non sempre riusciti, tentativi di rivitalizzarla e rinnovarla, stia scrivendo la storia contemporanea dell’horror.

dentro 3

Dopo un inizio che è quasi un omaggio a Babadook – un bambino che vive con la madre separata dal marito, con relativi problemi familiari, diventa preda facile di un demone –, il film ci fa fare un salto in un mondo inaspettato: un uomo se la spassa tra donnine poco vestite e cocktail in un night club, finché uno sconosciuto, il dottor Ember (Aaron Eckhart), non gli mostra che la realtà in cui crede di vivere non è altro che un’illusione, una trappola per trattenerlo in uno stato di sospensione della volontà, di accettazione di una condizione di prigionia decorata di pulsioni e desideri. Il solo modo per uscire da questa realtà fittizia, creata da un demone allo scopo di possedere la vittima senza alcuna resistenza, è un atto di fede, un salto letterale nel buio. Quello che tutti definiscono un esorcismo è per il dottor Ember uno sfratto, che lui compie entrando, grazie a un suo dono innato, nella mente dei posseduti, cancellando l’illusione e cacciando l’entità parassita. Un dono che ha anche portato una grossa disgrazia nella sua vita, la morte della propria famiglia a opera di un demone potente, che lui chiama Maggie, e che adesso possiede il bambino del prologo.

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Un approccio quasi filosofico, quello di Incarnate, che riporta in mente il cyberpunk, la fantascienza teorica di Matrix, la suggestione filosofica di Inception e The Cell, la dialettica sogno-realtà di Nightmare. Incarnate è tutto questo: un nuovo punto di vista, slegato dalle simbologie religiose e dai rituali sacrali, che ci spinge letteralmente dentro la mente di un posseduto, per immaginare come possa funzionare concretamente il processo di attrazione al lato oscuro della divinità. Non è un caso che questa strana commistione sia opera di nomi poco abituati al genere. Il regista, Brad Peyton, si è fatto notare per il disaster movie San Andreas, ma qualcosa di sinistro aleggia in lui, ispirandolo nelle numerose scene ad alta tensione, senza le facili stampelle dell’effettistica da baraccone. Il protagonista, Aaron Eckart, lo ricordiamo come cinico difensore della nicotina in Thank You for Smoking e nei panni di Harvey Dent in Il cavaliere oscuro, mentre la sua precedente incursione nel genere in I, Frankenstein è passata piuttosto inosservata. Il suo esorcista è davvero un personaggio sui generis: non ha una particolare fede in Dio né lo ripudia. è ridotto a uno straccio, è mosso dalla vendetta e beve; non si crede un servo del volere divino, ma si descrive con tratti che hanno molto in comune con i supereroi dei fumetti (compreso il peso delle responsabilità del proprio dono).