Featured Image

Incantation

2022
REGIA:
Kevin Ko
CAST:
Tsai Hsuan-yen (Li Ronan)
Huang Sin-ting (Dodo)
Kao Ying-hsuan (Ming)

Il nostro giudizio

Incantation è un film del 2022, diretto da Kevin Ko.

La prima cosa a cui pensa un appassionato di cinema quando si nomina il found footage è, inevitabilmente, il cinema horror. Da quando si è aperta la caccia alla strega di Blair, il ritrovamento di qualsiasi filmato, che sia documentaristico, d’epoca, delle vacanze dell’estate scorsa a Gabicce mare, provoca un brivido lungo la schiena. Lo abbiamo potuto sperimentare in tutte le salse: The Blair Witch Project, Rec, Paranormal Activity, Cloverfield, e tanti altri. Netflix, ovviamente, non manca di buttarsi sul filone. Lo fa con Incantation, film horror taiwanese, che all’uscita in patria ha sbancato il botteghino. Con la regia di Kevin Ko, la pellicola racconta la storia di Ronan, una madre perseguitata da una tremenda maledizione per aver rotto un terribile taboo in giovane età: una maledizione che attira mali e sciagure sulle persone che le stanno accanto, compresa la propria figlia. Raccontato attraverso i filmati realizzati da Ronan, il film è narrato su più piani temporali: il presente, dove Ronan, ottenuto l’affido della figlia, cerca di allontare la maledizione per evitare che faccia del male alla bambina, e il passato, dove la stessa Ronan e i suoi compagni (tra cui l’ex fidanzato) entrano in un tunnel proibito per realizzare un filmato per YouTube. Tra villaggi spettrali e manifestazioni del sovrannaturale, Incantation racconta i tentativi di una donna che combatte una forza sconosciuta con tutte le armi a sua disposizione, per il bene di una bambina che non ha colpe.

Fin dalle prime immagini il film si rivolge allo spettatore, coinvolgendolo con semplici illusioni ottiche, atte a dimostrare un punto: il pensiero plasma la realtà. Un’idea affascinante, che potrebbe dare alla pellicola quell’ambiguità che solo i migliori film hanno: il dubbio che quello che stiamo vedendo sia reale o sia il risultato di una mente malata. Il film cavalcherà quest’onda? No. Si porrà infatti quasi subito come horror puro, cancellando qualsiasi dubbio. Nonostante questo, il film proietta lo spettatore in una dimensione suggestiva e, soprattutto, lo coinvolge fin da subito. Capiamoci, non stiamo parlando di rotture della quarta parete stile Funny Games; il film è una raccolta di filmati, e mentre gira questi filmati Ronan si rivolge a chi li vedrà dopo di lei. Gli spettatori. Un meccanismo semplice, ma efficace. Il coinvolgimento sarà reiterato durante la pellicola, con la protagonista che cerca il sostegno e l’aiuto di chi guarda i filmati da lei lasciati. Seguiamo quindi la convivenza disastrata di Ronan e figlia, alle prese con questa presenza/maledizione che non si capisce bene come agisce o come si manifesta, ma che senza dubbio rende loro la vita impossibile, e in alternanza il viaggio dei “ghostbusters” verso il tunnel proibito, sei anni prima. Una narrazione complessa e complicata, soprattutto per un found footage; questa alternanza di piani temporali, infatti, insieme a un montaggio fin troppo curato e certosino, rischia di far scadere la credibilità del racconto a un occhio più attento.

A dare il colpo di grazia alla credibilità è però la regia, che per sostenere i momenti di terrore fa esplodere i punti macchina, aumentandoli senza criterio e senza badare alla coerenza del racconto. Quante telecamere accese allo stesso tempo potrà avere una donna che cerca di scappare da un demone invisibile? Se si ignorano queste mancanze tuttavia il film funziona. Lo spettatore vuole scoprire cosa c’è nel tunnel, e vuole capire che maledizione sta affliggendo Ronan e figlia. L’atmosfera è tesa, e le location sono perfette, soprattutto nel filone del passato. Il villaggio dove si trova il tunnel proibito è terrificante, tra talismani, vecchi templi e incantesimi, e i suoi abitanti lo sono ancora di più. Incantation si districa tra racconti del terrore tradizionali e new horror, utilizzando sparizioni e jumpscare, riuscendo in qualche modo ad amalgamare questi due filoni. Il filo rosso che guida la visione è il racconto/confessione di Ronan direttamente allo spettatore, che permette di seguire la storia nonostante i buchi e i difetti del film, e che porta direttamente al finale. Un finale che, anche se un po’ telefonato, si riappropria della natura di found footage dell’opera e ne sfrutta a pieno il potenziale. Tra dubbio, superstizione, maledizioni e benedizioni, Kevin Ko utilizza tutte le armi a sua disposizione per spaventare il pubblico. Lo spettatore è avvertito: attenzione alle vecchie cassette e ai vecchi filmati. Potrebbero contenere immagini forti e pericolose. O i filmini di Gabicce mare.