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In the Land of the Morning Calm

2019
REGIA:
Alessandra Pescetta
CAST:
Song Jiyeon (Miyeon)

Il nostro giudizio

In the Land of the Morning Calm è un cortometraggio del 2019, diretto da Alessandra Pescetta.

Il cinema inteso come arte estetica, cioè come rappresentazione della bellezza, in Italia non è appannaggio solo di nomi famosi come Paolo Sorrentino, ma anche di alcuni registi che lavorano in modo indipendente e proprio per questo riescono a portare avanti la loro idea di cinema. Non molti, ma ci sono, e Nocturno ha il merito di averne individuati parecchi (ricordiamo Simone Scafidi e il duo Brazzale/Immesi, per fare due esempi); tempo fa, chi scrive aveva recensito in questa sede il meraviglioso La città senza notte (2015) di Alessandra Pescetta. Un’artista sperimentale che definire soltanto regista cinematografica è riduttivo, spaziando dal cinema alla videoarte, dal teatro al videoclip, dal corto al lungometraggio, sempre con un denominatore comune: la messa in scena di quello che i filosofi – se i miei ricordi liceali non sbagliano – definivano “il bello in sé”. Arte totale, contemplativa, ma – si faccia attenzione – mai fine a se stessa, bensì sempre funzionale alla messa in scena di varie tematiche, psicologiche, sociali, culturali (su YouTube è disponibile free la sua potentissima versione della Medea: guardatela). La Pescetta, dopo La città senza notte e L’ombra della sposa (presentato a Venezia74) torna a meravigliare con il cortometraggio In the Land of the Morning Calm (2019) – Nel paese del calmo mattino, che è il nome con cui è nota la Corea del Sud: lì infatti è stato co-prodotto e girato interamente, poi selezionato dall’Unesco Creative City of Film e in numerosi festival internazionali.

Il corto (16 minuti) conferma Alessandra Pescetta come una tra i più significativi esteti del cinema italiano contemporaneo. Scritto dalla stessa regista, ha come protagonista Miyeon (Song Jiyeon), una cantante sciamanica della Corea del Sud che dopo la morte del padre deve fronteggiare un grosso problema, la perdita della voce: il suo non è un difetto fisico, ma psicologico, che potrà essere risolto solo attraverso il recupero di un rapporto magico con la natura, in un bosco dalla dimensione fiabesca. Vedere un film di Alessandra Pescetta significa inoltrarsi in una dimensione “altra”, vivere un’esperienza estatica, platonica – nell’accezione del celebre dipinto La Scuola di Atene, con la mano di Platone che indica l’alto per esortare alla trascendenza: è l’espressione di un cinema inteso come immersione sensoriale (visiva, musicale, emotiva) che ha pochi eguali nel cinema italiano e internazionale contemporaneo. È un tipo di cinema che non va spiegato con la razionalità, ma va vissuto emotivamente, lasciandosi smuovere nel profondo da quell’uragano di sensazioni – mentali, ma direi quasi fisiche – che le immagini e la musica riescono a comunicare. La Pescetta è impregnata tanto della cultura classica (ricordiamo La Pizia e Medea) quanto di quella orientale, che aveva già messo in scena nel Giappone de La città senza notte: una cultura costantemente unita a una spiccata sensibilità per tematiche quali i drammi psicologici, l’ecologia, le guerre e l’incontro fra culture diverse.

Negli anni più recenti, la regista ha focalizzato l’attenzione sulle paure femminili, in questo caso la paura di non riuscire ad affermarsi artisticamente, e lo fa traslitterando sempre la realtà in una dimensione onirica, poetica e struggente, ricca di epifanie e simbologie. Il ritorno di Miyeon al canto, con la comparsa di una sciamana (uno spirito, un sogno?) in un paesaggio bucolico fra gli alberi e un piccolo fiume, indica la musica come una via per (ri)aprire un dialogo con il mondo naturale (“Chi canta prega due volte”, è citato Sant’Agostino all’inizio del film), in opposizione alla frenesia della società moderna e al desiderio di affermazione personale. In the Land of the Morning Calm è un susseguirsi di immagini potenti e di impressioni, sempre sospese tra la realtà e il sogno, grazie a inquadrature particolari e raffinatissime: il volto deformato dalla brocca piena d’acqua, la ragazza che estrae un fiore dalla propria bocca, la bravissima protagonista ripresa in posizione fetale, la danzatrice (interpretata da una vera sciamana coreana) vestita di bianco che danza al ralenti nella radura, le increspature dell’acqua (elemento ricorrente nel cinema della Pescetta, che torna spesso come fonte di vita o di morte). Fondamentale è, come sempre, la sinestesia di immagini e suoni, e i soavi canti che sentiamo sono stati realizzati grazie a una maestra di canto sciamanico, che ha insegnato all’attrice questa antica tradizione. L’interpretazione è viscerale, la regia è creativa e sicura ma mai autocompiaciuta: è un cinema d’arte che parla di arte, ulteriore tassello di un percorso artistico straordinario che Alessandra Pescetta proseguirà con il lungometraggio 100 preludi.