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Il trucido e lo sbirro

1976
Titolo Originale:
Il trucido e lo sbirro
REGIA:
Umberto Lenzi
CAST:
Tomás Milián (Sergio Marazzi detto er Monnezza)
Henry Silva (Brescianelli)
Claudio Cassinelli (commissario Antonio Sarti)

Il nostro giudizio

Il trucido e lo sbirro è un film del 1976, diretto da Umberto Lenzi.

Siamo nel 1976: Roma a mano armata esce a gennaio Squadra antiscippo a febbraio e Il trucido e lo sbirro, il film che celebra la nascita di “Monnezza”, in agosto. Il “Monnezza” è già contenuto, in potenza, nel Gobbo da un lato e in Nico Giraldi dall’altro, come una sorta di sintesi tra questi due caratteri. Ma perché non scendere ancora più indietro nel tempo, fino a Milano odia la polizia non può sparare, e ipotizzare che il seme del “trucido” germogli nella simbolica immagine della fine di quel film, tra i cumuli di spazzatura dove i proiettili di Henry Silva mettono fine ai feroci giorni di Giulio Sacchi? “Monnezza” nasce da una serie di spunti congiunti, in una “progressione trifase” in cui si coordinano l’azione sceneggiativa di Dardano Sacchetti, quella registica di Umberto Lenzi e l’interpretazione di Tomas Milian. Ciascuna di esse è allo stesso tempo mimetica e creativa; e quindi più di qualche frammento della personalità del Gobbo finisce per affiorare anche in questo primo Monnezza (il momento dell’esecuzione di Ernesto Colli, costretto a scegliere tra il bicchiere di latte e quello di calce viva e quindi beffato/freddato con un colpo di pistola, che riporta alla dimensione della morte come scherzo macabro ben riuscito, propria di tutta la discendenza da Giulio Sacchi, al Gobbo e al Cinese di Il cinico, l’infame, il violento). Anche le battute in rima ripropongono un carattere del protagonista di Roma a mano armata, dopo il celebre “la Pira Galeazzo, siccome nun c’ho ‘na lira t’attacchi al cazzo”.

“Essere il Monnezza” implicava per Milian molto più che dar vita a un personaggio divertente per il ludibrio del pubblico. Era calarsi nei processi mentali di una figura simbolica che coagulava in sé la “Quint-essenza” di Roma. Cioè – con un gioco di parole – l’essenza di quella Roma rappresentata dall’amico-controfigura Quinto Gambi, sul quale Tomas modellò in gran parte il suo nuovo personaggio. Un’operazione di alta mimesi, interna ed esterna. Col Trucido e lo sbirro nasce il look “monnezzaro”, in cui ogni particolare è strategico: la tuta blu da meccanico, le “infradito”, la capigliatura nera, folta e riccioluta, gli occhi bistrati, perché non scomparissero tra i capelli e la barba. Proletario e rigorosamente comunista (pugno chiuso al posto di blocco), secondo il prototipo vero di Quinto, Sergio Marazzi ha in questa sua prima avventura un fratello (Ferdinando Orlandi, presentato con la formidabile battuta, al tizio che gli frega un berretto della Roma: «Aho, ridammelo, che me se fredda la cappella…!»), il quale rischia di venire ammazzato da Silva per ritorsione e che Monnezza vendicherà uccidendo a sangue freddo (per la prima e forse unica volta nella sua storia) l’infame Roscetto. Toccherà aspettare La banda del Gobbo perché come fratello del Monnezza si presenti sulla scena Marazzi Vincenzo, detto “Il Gobbo di Roma”, e La banda del Trucido perché nei suoi monologhi Tomas dispensi altri particolari sulla famiglia del suo eroe.

Pensato non completamente in funzione “Milian-centrica” ma nei fatti riuscito tale, Il trucido e lo sbirro ha comunque anche nel “coro” dei caratteristi un punto di forza: Biagio Pelligra, Claudio Undari e Giuseppe Castellano (gli uomini della “banda del trucido”), Tano Cimarosa (il Cravatta, doppiato), Rosita Torosh (la giovane drogata), Renato Mori (il commissario capo), fino a Luciano Rossi, Rosario Borelli, Nino Casale, Giovanni Cianfriglia, Claudio Ruffini e Pietro Torrisi (che per una di quelle singolari magie del bis, è sia un uomo di Brescianelli sia uno dei westerner che si vedono nel film proiettato in carcere – con sequenze tra Gli fumavano le colt, lo chiamavano Camposanto e Buon funerale amigos, paga Sartana). Claudio Cassinelli interpreta un poliziotto poco tipico rispetto al genere, Nicoletta Macchiavelli cambia come il giorno e la notte con la parrucca e senza, mentre Henry Silva non esiste in quanto carattere, ma va bene così, poiché la sua partecipazione serve unicamente a catalizzare una parte – la meno importante – della storia. Abbondanti i giochi interni: Milian, quando si finge imbianchino nella sede dei carabinieri e viene richiesto delle proprie generalità, dice di chiamarsi “Gambi Quinto” e il personaggio della Machiavelli si nasconde sotto lo pseudonimo Claudia Mancini – Claudio Mancini era uno dei produttori associati di questo film e del successivo La banda del trucido.