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Il traditore

2019
Titolo Originale:
Il traditore
REGIA:
Marco Bellocchio
CAST:
Pierfrancesco Favino (Tommaso Buscetta)
Maria Fernanda Cândido (Maria Cristina de Almeida Guimarães)
Fabrizio Ferracane (Pippo Calò)

Il nostro giudizio

Il traditore è un film del 2019, diretto da Marco Bellocchio.

Se fosse stato diretto da uno dei tanti registi televisivi di Rai o Mediaset (e il tema da docufilm si sarebbe prestato), Il traditore l’avremmo vissuto come un consueto prodotto tv, più o meno riuscito, ma che col cinema avrebbe avuto poco a che fare. E invece ciò che fa la differenza è la sapienza visiva di Marco Bellocchio che riesce a fare del film un prodotto cinematografico a tutti gli effetti. La vicenda di Tommaso Buscetta, colui che con le sue testimonianze e lo stretto rapporto con Giovanni Falcone, riesce a portare al maxiprocesso (cominciato il 16 dicembre 1987) la cupola di Cosa Nostra (346 condanne, 19 ergastoli e pene detentive per un totale di 2665 anni di reclusione) è raccontata magistralmente dal regista che aveva già affrontato temi strettamente connessi alla nostra storia con Sbatti il mostro in prima pagina (1972), con un grande Volontè, sul tema della manipolazione mediatica e persecutoria a fini politici, e con Buongiorno notte (2003), sul rapimento Moro, a cui Il traditore non ha nulla da invidiare. Tommaso “Masino” Buscetta è un picciotto sedicenne che si affilia alla Cosa Nostra old style nei primi anni 50, quella in cui uccidere bambini e commerciare in eroina era ancora un tabù. Il che non significa che fosse un angioletto: la sua affiliazione prevede l’uccisione di uomo. E lui lo ucciderà anni dopo, soltanto quando il figliolo di lui, che la vittima utilizzava quasi come uno scudo protettivo, non staccandosene mai, si allontanerà dal padre, dopo il matrimonio. E quest’episodio viene descritto dal regista con un flashback di grande suggestione.

Tutto ciò che avviene dopo è storia d’Italia: la presa di potere da parte dei feroci corleonesi, vere e proprie iene (inquadrate dal regista in uno zoo), metafore dei vari Riina, Calò e via delinquendo; la collaborazione di Buscetta con Falcone dopo la sua estradizione dal Brasile dove viveva lussuosamente con l’ultima delle sue tante mogli; l’uccisione dei figli, uno dei quali tossico, rimasti in Sicilia; i confronti con i corleonesi in un’ aula di tribunale trasformata in teatro del grottesco con gli show studiati degli ingabbiati, da una  parte, e del pubblico delle varie moglie e madri, coro greco convocato per insultare Masino l’infame, dall’altra; e infine le condanne; la strage di Capaci; la protezione costante e ossessiva di Buscetta e dei suoi familiari; il loro peregrinare fra Brasile e Stati Uniti con false identità; persino un intervento di chirurgia plastica pagato – pare – dallo Stato. Fino alla morte di Masino nel proprio letto, come da sempre aveva auspicato. Non mi soffermerò oltre nel raccontare i fatti storici che sono arcinoti (compreso il rientro temporaneo in Italia di Buscetta per testimoniare confusamente al processo Andreotti, mostrato in mutande nell’atelier di un sarto dove Masino lo incontra durante la prova di un vestito), ma vorrei invece sottolineare i momenti di cinema più sorprendentemente affascinanti del film, come il sogno terrorizzante di Buscetta laddove parenti e amici lo piangono morto e lo chiudono vivo in una bara, horror allo stato puro; oppure, quella in cui, già vecchio e malato, con un berrettino di lana in testa, se ne sta solo, su una poltronicina, in terrazzo, a contemplare il cielo con il fucile sotto la coperta che gli copre le gambe e un minimo rumore, in realtà un paio di cani che scavano nella spazzatura, lo fa sobbalzare.

È la paura di un uomo che attende da anni, quotidianamente, un incontro imminente con la morte, certo che, prima o poi, quell’incontro avverrà; un uomo che tenta persino di ammazzarsi con la stricnina pur di farla finita con una vita da animale braccato. Si potrebbe pensare che Bellocchio prenda le parti di Buscetta, ma non è così. La sua è solo una  descrizione tutt’altro che sentimentale della ferocia della mafia. Certo il pubblico finisce inevitabilmente per prendere le parti di Masino, ma l’efferatezza è totale, la spietatezza è di tutti, nessuno escluso, non ci sono buoni e cattivi come in un western tradizionale. A rendere Il traditore un grande film, è anche la straordinaria bravura dell’interprete di Buscetta, ovvero Pierfrancesco Favino che ci offre qui la sua miglior prova d’attore in assoluto. Tutti i componenti del cast sono bravissimi, sarebbe stato facile cadere nella macchietta con i personaggi che parlano in siciliano a volte anche molto stretto (con necessità di sottotitoli in italiano), come per esempio fa Luigi Lo Cascio nei panni di Salvatore Contorno, ripreso al processo dagli avvocati difensori dei corleonesi perché il suo dialetto è incomprensibile ai più. Un film da archivio, mi spingerei ad affermare, da tenere negli scaffali della biblioteca della nostra storia. Forse si sarebbero potute evitare le consuete immagini di repertorio, viste e straviste, che finiscono per interrompere, di tanto in tanto, la sequenzialità della cifra stilistica del regista. Due ore e mezzo di film, comunque, che scorrono con una tensione da thriller d’autore.