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Il silenzio della città bianca

2019
Titolo Originale:
El silencio de la ciudad blanca
REGIA:
Daniel Calparsoro
CAST:
Belén Rueda (Alba Díaz de Salvatierra)
Javier Rey (Unai López de Ayala)
Aura Garrido (Estíbaliz Ruiz de Gauna)

Il nostro giudizio

Il silenzio della città bianca è un film del 2019, diretto da Daniel Calparsoro.

Dopo la morte della moglie incinta in un drammatico incidente stradale, il profiler Unai Lopez de Ayala (Javier Rey) decide di lasciare la polizia dove lavorava come profiler criminale, sotto il nome in codice di Kraken. La notizia dell’imminente scarcerazione di Tasio Ortiz de Zarate (Alex Brendemuhl), il principale sospettato di una lunga serie di omicidi datati circa venti anni prima, sprona Unai a riprendere il suo posto di lavoro, in quanto qualcuno ha ricominciato questo ritualistico massacro di giovani coppie, ognuna cinque anni più vecchia della precedente. Una volta tornato, il giovane detective sarà supervisionato dal nuovo vicecommissario Alba Savarrieta (Belen Rueda) con la quale intratterrà un’improbabile storia d’amore, mentre sullo sfondo della città di Vitoria Gasteiz sta calando il terrore. Kraken riuscirà a fermarlo? Eva García Sáenz de Urturi è l’autrice del bestseller Il silenzio della città bianca che nel 2016 ha letteralmente cancellato ogni forma di concorrenza tra romanzi gialli, aggiudicandosi premi e vendite superiori alle 250mila copie, in ogni libreria spagnola ed europea. Questa giovane scrittrice basca, fino a otto anni fa optometrista di professione, dopo un convincente inizio decise di impegnarsi maggiormente nella stesura del suo successivo libro: cominciò, dunque, la volontaria frequentazione di un’accademia di polizia al fine di conoscere i meccanismi di lavoro di un corpus giudiziale e di affinare la sua padronanza di psicologia criminale.

Evidentemente l’impegno ha reso i suoi frutti, poiché a distanza di tre anni Atresmedia Cine comprò i diritti e iniziò la produzione di un adattamento cinematografico, targato Netflix. Il progetto è supervisionato e diretto da Daniel Calparsoro, regista la cui fama è e rimane tuttora consolidata solo in madrepatria, il quale orchestra un poliziesco dalle tinte noir con tanto simbolismo ma figlio di un’ingenua messa in scena, marcatamente da b-movie. Numerosi indizi, cambi di scena frequenti e un presunto omicida ora ritenuto innocente: questi sono solo una minima parte degli elementi caratterizzanti il primo atto della pellicola, movimentato e avventuroso come ogni thriller deve essere. La mano di Calparsoro, è sì omologata agli standard, ma riesce a regalare più di un sussulto quando entra in scena l’astuto criminale. Il merito più significativo della regia è l’aver ricostruito il laborioso e macabro rituale al quale il killer dei dormienti sottopone le sue vittime: l’enfasi posta sulla simbologia che si cela dietro il bizzarro modus operandi e la speculare visione artistica elevano la pellicola a una produzione che pare aspirare di più che un classico thriller. Peccato però che a questa partenza ottimale, si sostituisca un secondo atto poco avvincente e monocorde, dove la graduale esposizione dell’indagine investigativa, effettivo fulcro di ogni giallo, è supportata da una sceneggiatura inconsistente che dilata eccessivamente il metraggio focalizzando l’attenzione su elementi secondari quali la dipendenza della sorella di Unai o la storia d’amore di quest’ultimo con il vicecommissario. Se il prologo risulta convincente e intrigante perché Calparsoro presenta solo una faccia della medaglia dell’evoluzione dell’indagine investigativa, il momento più deludente è quando egli dirige Unai e Alba nella risoluzione del caso, dove la suspence viene azzerata per via di continui intermezzi amorosi e familiari che conferiscono al secondo atto disomogeneità dal punto di vista narrativo.

Un errore non perdonabile se si sta trattando di pellicola cinematografica, invece di una puntata pilota di una serie tv. Una pecca condivisa unitamente alla sceneggiatura, poiché Javier Rey e Belen Rueda si impegnano per cercare di tenere l’attenzione viva, anche quando lo spettatore, stanco a causa della dispersione dell’atto centrale, giunge a una conclusione che da un lato perdona gli errori commessi precedentemente; e dall’altro non elargisce spessore al killer dei dormienti i cui processi cognitivi meriterebbero di essere focalizzati nella loro interezza e non nella frammentarietà come invece vengono affrontati. I veri punti di forza del film risiedono nell’ambientazione della città di Vitoria Gasteiz, pittoresca e seducente nella sua enigmaticità, e in particolare della sua Cattedrale, la vera protagonista (un azzardato richiamo a Hugo?); e in seconda battuta la trama, tanto originale quanto classica, un ottimo compromesso sia per i nostalgici di Agatha Christie sia per chi ha cominciato a nutrire passione per il giallo dopo la visione di Seven. Concludendo, Il silenzio della città bianca, a causa di una sceneggiatura fiacca e troppo rigida, perde di vista, nella fase centrale della pellicola, il reale oggetto di interesse della trama: la soluzione dell’enigma. Si sarebbe dovuto lavorare sia per stringare i tempi sia per spostare i riflettori sulle motivazioni dell’assassino, al quale non viene dedicata la profondità che meriterebbe. Non che sia tutto da buttare, infatti, rimane una visione apprezzabile che presa nella sua totalità, intrattiene molto più di quanto si potrebbe pensare, verosimilmente si indirizza verso il target di chi gradisce il poliziesco televisivo rispetto a un prodotto cinematografico.