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Il signore delle formiche

2022
Titolo Originale:
Il signore delle formiche
REGIA:
Gianni Amelio
CAST:
Luigi Lo Cascio: Aldo Braibanti
Elio Germano: Ennio Scribani
Leonardo Maltese: Ettore Tagliaferri

Il nostro giudizio

«Chiunque sottopone una persona al proprio potere, in modo da ridurla in totale stato di soggezione, è punito con la reclusione da cinque a quindici anni». Questo recitava il testo del codice penale alla voce del reato di plagio. Dietro tale norma, giudicata poi incostituzionale nel 1981, si era nascosta la presunta giustizia italiana degli anni Sessanta che aveva condannato l’artista Aldo Braibanti per aver plagiato, appunto, con i suoi pensieri intellettuali e politici l’allora diciannovenne Giovanni Sanfratello. Gianni Amelio, attraverso il film Il signore delle formiche, liberamente ispirato al caso Braibanti, affronta la natura pregiudiziale e bigotta insita nell’Italia dell’epoca, in cui, se da una parte cominciavano a nascere rivoluzioni per i diritti civili e ribellioni per la libertà sessuale, dall’altra si rimaneva ancorati ad una morale conservatrice. Quello presentato a Venezia è un film doloroso che non fa sconti in termini di verità. Non si pensa ad edulcorare in maniera eccessiva l’aspetto finzionale della storia, quanto, più, a concentrarsi sulla violenza e sulla privazione di libertà di cui si carica l’episodio.

Una gran parte del film è infatti dedicata al processo a cui venne sottoposto Braibanti, interpretato qui da un Luigi Lo Cascio molto misurato e spigoloso che garantisce una resa perfetta al suo personaggio. Le scene girate tra il carcere e il tribunale sono necessarie a restituire il clima politico dell’epoca e il profilo delle istituzioni, ed è per questo che gli viene dato ampio spazio. Al prologo invece, dove è mostrato l’inizio e lo sviluppo della storia d’amore tra il filosofo Aldo e lo studente Ettore (Leonardo Maltese), è dedicato un tempo risicato e lo stesso rapporto gode di un’essenzialità che non ha nulla a che vedere con il senso del pudore, come si è vociferato. In seguito alla proiezione e successivamente alla distribuzione nelle sale, tra i commenti del pubblico emergevano critiche all’assenza di scene che ritraessero la relazione tra i due uomini, con un’accusa velata alla troppa prudenza nel trattare l’amore omosessuale, restituendo una visione quasi platonica di quest’ultimo. Se invece si presta attenzione, non vi è alcuna remora nell’utilizzare un linguaggio sessuale esplicito, dimostrazione del fatto che l’assenza di scene d’amore tra i due protagonisti sia semplicemente stata una scelta volta a sottolineare come la sfera privata meriti un rispetto e un’intimità che all’epoca invece veniva violata e messa in pubblica piazza dallo Stato stesso: l’ho trovata una scelta stilistica particolarmente coerente con un film sociopolitico come questo.

Non viene invece riservata alcun tipo di reticenza al trattamento applicato al giovane Ettore, fatto rinchiudere dalla madre in una struttura coercitiva – all’epoca dei fatti non era ancora stata introdotta la legge Basaglia che imponeva la chiusura dei manicomi – e sottoposto a diversi elettroshock e a cure molto dure che lo cambiarono completamente, facendolo sprofondare in uno stato di alienazione psicofisica. Il tentativo era quello di guarirlo dalla “grande malattia” che a detta dei giudici portava il nome di Aldo Braibanti. All’interno del film il processo viene seguito e soprattutto diffuso attraverso il personaggio di Ennio Scribani, qui interpretato dall’impeccabile Elio Germano, un giornalista che lavora per il Partito Comunista e che si occupa del caso. Il pubblico si riconosce nell’indignazione dell’uomo e insieme a lui ne segue la storia e la condanna, sprofondando nella rassegnazione e nell’insofferenza verso un Paese che, ieri come oggi, appare spaventato da ciò che non riconosce e imprigionato nella primitività cattolica che condanna l’innocente per paura di comprendere ciò che non capisce.