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Il rito delle streghe

2020
Titolo Originale:
The Craft: Legacy
REGIA:
Zoe Lister-Jones
CAST:
Cailee Spaeny (Lily)
Zoey Luna (Lourdes)
Lovie Simone (Tabby)

Il nostro giudizio

Il rito delle streghe è un film del 2020, diretto da Zoe Lister-Jones.

Ci fu un tempo, durante i gloriosi e ormai lontani anni ’90, in cui la stregoneria faceva parecchia tendenza. Un decennio inaugurato dalle topistiche avventure dell’intramontabile Chi ha paura delle streghe? e conclusosi all’ombra del caso planetario di The Blair Witch Project, il tutto mentre quei tre gran pezzi di fattucchiera delle sorelle Halliwell sbancavano i tubi catodici di mezzo mondo con il loro glamour dannatamente borghese. Ed è appunto nel mezzo di tutto questo potpourri di calderoni, incantesimi e manici di scopa che, giusto giusto a metà decade, Giovani streghe se ne uscì zitto zitto, quatto quatto, pronto a diventare un piccolo cult generazionale per tutti coloro nati e cresciuti all’ombra degli scandali sottobanco – e sotto scrivania – di Bill Clinton & Co. Una high-school story bagnata di sovrannaturale che riuscì nell’impresa di guadagnarsi un coriaceo e agguerrito zoccolo duro di fedelissimi, in gran parte figli di MTV e delle cazzabubbole esoteriche tanto in voga in quei bei tempi andati. E nonostante parecchi annetti siano passati, le vicende della bella e fragile Sarah, trasferitasi nel suo nuovo liceo di periferia e divenuta parte di un gruppetto di quattro imberbi adoratrici della Wicca, paiono suscitare ancora oggi qualche emozione, tanto da spingere un Re Mida come Jason Blum a dar seguito a un progetto a lungo ostracizzato come Il rito delle streghe (The Craft: Legacy), ideale sequel delle ormai arcinote “Puttane di Eastwick” ingolfatosi a più riprese e infine venuto alla luce fra mille immancabili mal di pancia.

Parlare di sequel è certamente corretto, soprattutto alla luce di un epilogo che solo i veri aficionados potranno apprezzare fino in fondo e che costringerà i più giovani e smemorati a un rewatch obbligato. Tuttavia sarebbe altrettanto corretto parlare di reboot, poiché Il rito delle streghe non nasconde la sua ferma volontà di occhieggiare e omaggiare l’originale, in primis riproponendo il legame di sangue che unisce le tre school teen wicth (Zoe Luna, Gideon Adlon e Lovie Simone) alla spaurita, complessata e parecchio mestruata new entry (Cailee Spaeny), quest’ultima da poco trasferitasi assieme alla madre terapeuta (Michelle Monaghan) nella casa del di lei nuovo aitante e stagionato compagno (David Duchovny), popolata, tra le altre cose, anche dalla testosteronica truppa dei di lui figliocci. Un legame fra outsider che porterà le nostre fattucchiere in shorts a scoprire gli esoterici segreti della manipolazione dello spazio e del tempo, il tutto mentre le nefaste conseguenze dei propri stregoneschi gesti inizieranno a dare i loro inaspettati frutti. Nulla è ciò che appare, e nessun gesto, per quanto magico e sovrannaturale, potrà rimanere privo di conseguenze a breve scadenza. Un’operazione strana e al contempo coraggiosa quella di Il rito delle streghe, la quale, com’era logico aspettarsi, si è dovuta scontrare con due pesanti fardelli: la memoria troppo lunga dei fan di vecchia data e quella decisamente molto corta dei figli degli anni Duemila. Così come i primi si trovano dinnanzi a un restyling totalmente privo della fascinosa carica del capostipite, i secondi, cresciuti a pane e The Wicth, non hanno poi così tanta voglia e pazienza di sorbirsi pentacoli in CGI, levitazioni casalinghe e colorati sbuffi di fumo magico degni di una sitcom di Disney Channel, a dimostrazione di come ogni prodotto, indipendentemente dall’aura di culto che può sprigionare, è sempre dannatamente figlio del proprio tempo.

Se nel 1996 il politicamente scorretto era all’ordine del giorno, nel castigato e paranoico 2020 il livello di conflitto deve per forza essere ridotto al minimo, azzerando quasi del tutto l’iconica querelle tra good e bad magic che era la colonna portante dello script di Peter Filardi. Del sacro monito secondo cui tutto ciò che si fa ritorna indietro triplicato non rimane alcuna traccia in Il rito delle streghe, così come nulla ritorna della fortissima presenza scenica di un magico quartetto che vedeva l’algida Robin Tunney accanto a giovani colleghe che, fra scoppiettanti futuri cinematografici (la musa craveniana Neve Campbell), oneste comparsate di genere (Rachel True) e progressivo oblio (Fairzula Balk), erano riuscite a creare fra loro una perfetta alchimia. Qui, eccezion fatta che per il trauma pregresso della nuova protagonista – decisamente meno incisivo dei postumi da suicidio della fu Sarah Bailey –, non si ha alcuna traccia dei drammi privati che ciascuna delle giovani steghette portava incise – anche letteralmente – sulla propria pelle e che costituivano il motore verso il magico e insidioso patto, trasformando il tutto in un innocuo divertimento da doposcuola senza infamia e senza lode. La giovanissima Zoe Lister-Jones, qui alla sua seconda prova registica dopo una copiosa carriera davanti alla macchina da presa, tenta di rimestare un poco la brodaglia gettando nel calderone, senza troppa convinzione, tematiche come l’omosessualità, la crisi di identità e un velato rigurgito di bullismo, il tutto però drammaticamente fuori tempo massimo e lanciato a capofitto verso un risvolto finale che, detto fra noi, ci fa rimpiangere amaramente le implicazioni ben più succose e sovrannaturali dell’All Cheerleaders Die del buon Lucky McKee.