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Il ragazzo e l’airone

2023
Titolo Originale:
Kimi-tachi wa dō ikiru ka
REGIA:
Hayao Miyazaki
CAST:
Sōma Santoki (Mahito Maki)
Yoshino Kimura (Natsuko)
Kō Shibasaki (Kiriko)

Il nostro giudizio

Il ragazzo e l’airone è un film d’animazione del 2023 scritto e diretto da Hayao Miyazaki.

“Chi mi conoscerà morirà”: questo è, più o meno, il concetto espresso da un’iscrizione che si trova sul cancello dorato di una tomba misteriosa posta su un’isola infestata di pellicani cannibali, nel bel mezzo del mare di un mondo bizzarro e fantastico. Se si mastica e si apprezza la poetica e la modalità di racconto per immagini del Maestro Miyazaki tutto questo non dovrebbe stupire. Ma tornando alla criptica frase iniziale cos’è che, ad averne consapevolezza, si muore? Prima due parole sulla trama. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, il dodicenne Mahito Maki perde la madre nell’incendio di un ospedale di Tokyo e, dopo solo un anno, il padre trova una nuova moglie nella zia Natsuko, sorella di Hisako, la madre deceduta. Il ragazzo e il padre Shoichi si trasferiscono nella casa di campagna di Natsuko che tra l’altro è incinta. L’impatto con questa nuova vita e con la nuova madre non è facile per Mahito che, dopo alcune resistenze, cede al richiamo di uno strano airone cenerino che dice di sapere dov’è la madre morta e lo conduce, tramite un’inquietante e vetusta torre, in uno strano mondo popolato da pellicani famelici, parrocchetti altrettanto ostili, ma anche dagli adorabili e indifesi Warawara.  In questo incredibile universo, dominato da una sorta di stregone-demiurgo, si è persa anche la matrigna Natsuko: il coraggioso Mahito è intenzionato a riportarla sana e salva. Quando Mahito viene attirato nel mondo dei Warawara (per comodità lo chiameremo così) il ragazzo si ritrova bloccato in una enorme biblioteca dove il pavimento inizia a liquefarsi e non si può far altro che cadere giù. L’entrata in questo strano mondo avviene dunque tramite una discesa, ovvero una catabasi, un’immersione nell’inconscio e dentro sé stessi, percorso analogo a quello di Chihiro ne La città incantata e in altre opere di Miyazaki, in cui tramite l’accesso a un mondo Altro, il protagonista coglie l’opportunità di un cambiamento, una maturazione e una presa di responsabilità nei confronti della vita.

Ed è proprio questo che succede a Mahito, con la differenza che in questo caso, scopo del viaggio, oltre la conoscenza di sé, è l’elaborazione del lutto, dopo la perdita dolorosa della madre. L’ambiguo airone che funge da invito ma anche da ostacolo è il tipico Guardiano della Soglia, presente non solo nella filmografia di Miyazaki, ma in numerose mitologie e racconti folkloristici. I film del maestro giapponese hanno infatti il sapore dell’universalità delle Grandi Storie, in cui gli archetipi vengono attivati e messi all’opera in modo enigmatico e viscerale, come è nella loro natura. Per tornare alla sentenza iniziale, la conoscenza di sé stessi e del mondo comporta sempre la perdita di una parte di sé e, alchemicamente, corrisponde ad un processo doloroso (la Nigredo) che comporta il morire a sé stessi per rinascere. In questo processo intervengono sovente le forze impersonali dell’inconscio, rappresentate nei film di Miyazaki da animali apparentemente ostili che spesso avvolgono e sommergono i protagonisti: si veda la scena in cui Mahito viene spinto dai pellicani contro il cancello della tomba, oppure quando i ranocchi lo sommergono o i parrocchetti lo circondano. Tali forze non buone o cattive, rappresentano, junghianamente, aspetti sommersi e sconosciuti di sé che, se non integrati nella coscienza, possono prorompere violentemente nel mondo della veglia. Proprio come succede ai personaggi di Miyazaki che in molte sue opere si confrontano con tali forze, spesso in forma di orda animale.

I teneri Warawara, piccole anime ancora non incarnate, presenti anch’essi in varie forme negli altri film del Maestro (gli spiriti-fuliggine de La città incantata e Il mio vicino Totoro, i Kodama de La principessa mononoke), sono al tempo stesso spiriti della Natura nonché una rappresentazione del bambino interiore che ci portiamo tutti dentro, più o meno inconsapevolmente. Tale fanciullo va dunque curato e protetto, proprio come cercano di fare la pescatrice Kiriko e lo stesso Mahito nel momento in cui i piccoli warawara vengono minacciati dai pellicani. Il mago che ha plasmato lo strano mondo in cui viene catapultato Mahito costituisce più di un archetipo, quello del saggio mentore ma anche dell’antagonista, perché nei film di Miyazaki i personaggi non sono mai tagliati con l’accetta ma vige la complessità della vita. Le pietre a forma di solidi tridimensionali (platonici?) con cui il mago tiene in piedi una pericolante piccola torre riecheggiano la trottola che Di Caprio usava come stratagemma in Inception per capire se si trovava ancora nella realtà oppure nel sogno. Anche qui la tenuta dell’architettura onirica dipende dal delicato equilibrio di piccoli oggetti, in questo caso solidi impilati uno sull’altro a formare una torre-mondo che Mahito potrebbe voler prendere in eredità. Il mago è forse lo stesso Miyazaki in cerca di un erede, che si confronta con il tramonto della sua vita? Forse. Potremmo proseguire a oltranza nell’esplorazione dei ricchi simboli di cui è costellato Il ragazzo e l’airone che, superficialmente, sembrerebbe la ricapitolazione dell’opera omnia di Miyazaki ma che in realtà si trasforma in una fondamentale domanda esistenziale, racchiusa nel titolo del romanzo di Genzaburō Yoshino da cui il cineasta giapponese ha tratto ispirazione e che lesse da ragazzo dopo la morte della madre, cioè: ”E voi come vivrete?”. Dunque non ripetizione di temi già esplorati ma dolorosa assunzione di responsabilità nei confronti del proprio lascito artistico e rilancio di un invito alla vita e all’empatia nei confronti del prossimo, che ha da sempre informato tutta la sua opera. Se questo dovesse essere il commiato cinematografico del Sensei Miyazaki ci sembra un bellissimo, emozionante e consapevole addio.