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Il prodigio

2022
Titolo Originale:
The Wonder
REGIA:
Sebastián Lelio
CAST:
Florence Pugh (Lib Wright)
Tom Burke (William Byrne)
Kíla Lord Cassidy (Anna O'Donnell)

Il nostro giudizio

Il prodigio è un film del 2023, diretto da Sebastián Lelio.

In quanto esseri umani, abbiamo un disperato bisogno di storie. Le storie sono improntanti, vitali, poiché ci dicono chi siamo, da dove veniamo e, cosa più importante, dove vorremmo o dovremo un giorno andare. Possiamo dire, insomma, che le storie ci appartengono, sono parte di noi, tanto quelle autentiche quanto, inevitabilmente, anche quelle fittizie. Ma è ovvio che ogni storia che si rispetti debba sempre avere un inizio. Persino una storia di fede qual è, inevitabilmente, Il prodigio. Ed è appunto un atto di fede che il buon Sebastián Lelio ci chiede nell’approcciarci al suo di racconto, attraverso la consueta e proverbiale sospensione dell’incredulità. La stessa fede che anche i suoi meravigliosi personaggi – nati ancor prima dalle stupende pagine di Emma Donoghue – nutrono ciascuno a loro volta per le proprie storie, siano esse le mitologiche epopee bibliche oppure le ben più razionali e pragmatiche nozioni scientifiche. Ed è appunto con assoluta devozione che ciascuno di questi personaggi è portato a crede strenuamente nelle proprie narrazioni, alla stregua di noi spettatori invitati, sin da quel propedeutico principio, a dar credito alla pura e semplice finzione scenica. Quella finzione che, in quel magico limbo che sta prima del principio stesso, ci viene schiaffata impudentemente sul muso, dandoci in un certo senso il divino privilegio di sbirciare fugacemente dietro il filmico velo di Maya allo scopo di svelarci, un po’ come fece a suo tempo il buon Ingmar Bergman con lo stupendo meta prologo de L’ora del lupo, il fisiologico trucco e l’inevitabile inganno che si celano dietro a ciascun racconto filmato.

Si perché, esattamente come per uno spettacolo di prestidigitazione, anche e soprattutto dietro a un film come Il prestigio il trucco e l’inganno ci devono per forza di cose essere, soprattutto quando di mezzo pare esserci nientemeno che un possibile miracolo. Ed è appunto per far luce su di un misterioso e, probabilmente, mistificatorio evento che la giovane infermiera inglese Lib Wright (Florence Pugh) viene chiamata in uno brullo villaggetto sperduto ai margini di un’Irlanda di metà Ottocento ancora pesantemente provata dalla piaga della Grande Carestia, laddove, in mezzo alla torba e alla più tagliente diffidenza verso i forestieri, qualcosa di inspiegabile e straordinario sembra essere piovuto nel mezzo di tanta fame e miseria. Pare infatti che l’undicenne Anna O’donnell (Kila Lord Cassidy), fervente cattolica così come la sua famiglia e gran parte della stessa popolazione che abita l’arido borgo, nonostante abbia scelto di non toccar più cibo da oltre quattro mesi riesca straordinariamente a mantenersi in perfetta salute, con il solo sostentamento della preghiera e di qualche sporadico sorso d’acqua. Mentre il consiglio cittadino appare profondamente diviso fra chi, come il cinico Dottor McBrearty (Tobt Jones) crede di aver finalmente trovato il segreto della vita eterna e chi invece, come l’altrettanto ottuso Padre Thaddeus (Claràn Hinds) già pensa a una possibile santificazione, la nostra coraggiosa donnetta di scienza, affiancata dalla religiosa Sorella Ryan (Josie Walker) e dallo scettico giornalista William Bryne (Tom Burke), nonostante il peso ancora opprimente di un tragico e recente lutto sarà chiamata a “osservare” quanto più oggettivamente possibile la straordinaria condizione della giovane aspirante miracolata, cercando di vincere la ruvida ostilità della bigottissima comunità per scoprire una volta per tutte se la mano di Dio o piuttosto quella di un umano imbroglio, abbia scelto di accarezzare questo dimenticato pezzetto di terra.

Può un film incutere una viscerale e strisciante inquietudine pur non avendo la più piccola briciola di horror in corpo? Ebbene, guardando dal principio alla fine un’opera come Il prestigio parrebbe proprio di sì, tanto potente e pervasiva è la sensazione di oppressione e oscurità che si respira costantemente tra il freddo, l’umidità e la desolazione che trasudano da ogni singola inquadratura bagnata dall’eleganza e al contempo dalla tagliente secchezza della fotografia di Ari Wagner. Ed è infatti all’ombra delle suggestive ed eteree melodie di Matthew Herbert che questo avvolgente e tesissimo thriller-drama in costume si consuma, attraversando un solco ben tracciato e sempre fertile che, dall’immancabile Agnese di Dio fino all’Apparizione di Giannoli, ci mette dinnanzi al lato più perturbante e misterioso dell’esercizio di fede, laddove, esattamente come accadrebbe in un romanzo giallo, ciò che appare non è sempre – anzi, quasi mai – ciò che realmente è. Frode o ingenua autosuggestione? Questo il dilemma che affligge la stoica e razionale protagonista, sradicata dalla propria natia terra e dal ruolo tristemente ormai dismesso di madre per prestare il proprio occhio clinico nell’assistere una potenziale giovane santa, il cui nome, guarda caso, rimanda nientemeno che alla patrona delle madri di famiglia. Una precoce penitente che, tuttavia, a differenza della giovane protagonista dello splendido e altrettanto straziante Kreuzweg – Le stazioni della fede, sembra non subire per nulla, almeno in principio, i segni della fisiologica inedia. Esattamente come quelle consunte e tristemente celebri fasting girls che popolavano realmente le aride e impoverite lande irlandesi attanagliante dalla fame e dalla miseria, più per spietata materiale necessità che per qualche mistico intervento divino. Realtà o finzione, dunque? Santità o imbroglio? Dentro o fuori? È così infatti che il racconto di Lelio sceglie di procedere: esattamente come quell’uccellino alternativamente libero o in gabbia nell’innocuo giochino ottico pre cinematografico donato alla piccola Anna dall’intrigante William. Esattamente come quello spettatore che nel prologo veniva invitato a lasciare la sua realtà per entrare, letteralmente, in quella fittizia della narrazione e che invece, nell’epilogo, si trova nuovamente espulso, così come un corpo estraneo o un elettrone dal proprio nucleo atomico, dal mondo della finzione scenica per ritornare, come si sul dire, con i piedi per terra. Un po’ come la stessa Miss. Wright che, dissipando le fitte nebbie del cieco misticismo, ci chiede di guardare bene in faccia una realtà se possibile ancora più terribile e scioccante di qual si voglia apparizione da Antico Testamento.