Featured Image

Il prigioniero coreano

2016
Titolo Originale:
Geumul
REGIA:
Kim Ki-Duk
CAST:
Ryoo Seung-Bum (Nam Chul-woo)
Lee Won-geun (Oh Jin-woo)
Kim Young-min (L'investigatore)

Il nostro giudizio

Il prigioniero coreano è un film del 2016, diretto da Kim Ki-duk

“Per questo faccio film: tentare di comprendere l’incomprensibile”. Ed è significativamente incomprensibile che il popolo coreano possa marcare con il filo spinato il confine fra Nord e Sud, all’altezza del trentottesimo parallelo. Per la seconda volta, dopo The Coast Guard, Kim Ki-duk torna a sondare il limite di crudeltà raggiunta dai coreani in nome dell’insanabile frattura interna al proprio Paese, spezzato in due dalla divisione fra Nord dittatoriale comunista e Sud democratico capitalista. “Là c’è la dittatura, qui la violenza ideologica”. Attraverso l’allegoria di un pescatore nordcoreano  ̶  Nam Chul-woo, trascinato dalla corrente in prossimità del confine con la Corea del Sud per un guasto al motore della sua barca  ̶  Kim Ki-duk confeziona un ritratto impietoso della società coreana che, a causa della guerra ideologica, sembra aver smarrito l’identità civile ed umana. In Corea del Sud Nam Chul-woo viene arrestato e trattato come una spia, al ritorno in Corea del Nord è accusato di tradimento. Il cinema di Kim Ki-duk riconferma con Il prigioniero coreano la stretta simbiosi fra riflessione etica ed estetica, in cui l’elemento simbolico e metaforico riveste e interpreta la realtà esistenziale e politico-sociale su cui l’autore posa il proprio sguardo.

Il protagonista del film – il pescatore – diventa il pesce inerme caduto nella “rete” (The Net, traduzione del coreano Geumul, titolo originale del film) che conduce lo sviluppo del film lungo un’alternanza straniante fra tragico e ridicolo: tragiche sono le torture e le violenze inflitte dalla Polizia sud coreana al povero Nam Chul-woo, che implora gli aguzzini di farlo tornare dalla sua famiglia, ridicola è l’accoglienza da eroe che gli è riservata al ritorno in Corea del Nord, appena prima di nuovi interrogatori e nuove violenze che culmineranno nell’accusa di tradimento. Ironica è la guerra mediatica fra i due Paesi realizzata attraverso le immagini proiettate in televisione: quelle del pescatore che cammina per la città di Seul guardando le vetrine dei negozi, mostrate dal Sud e quelle della moglie e della figlia in lacrime mostrate dal Nord. Il conflitto fra i due regimi diviene uno scontro di simboli tramite cui Nord e Sud hanno eretto negli anni la propria immagine-simulacro. Fantoccio e vittima delle immagini-simulacro, spacciate per ideologia, è il pescatore Nam Chul-woo la cui vita verrà privata dell’autentica semplicità in nome di una guerra fra idee, delle quali scoprirà dolorosamente l’inconsistenza.

Sebbene Il prigioniero coreano voglia denunciare il tragico e il ridicolo di entrambe le ideologie, il finale sottolinea la grande differenza fra il comportamento dei due Paesi verso Nam Chul-woo. I soldi che gli vengono regalati in Corea del Sud gli saranno rubati in Corea del Nord e la libertà di tornare alla vita semplice di famiglia e di lavoro, ottenuta infine in Corea del Sud, gli sarà tolta proprio nel suo Paese. Il pescatore intrappolato fra le ideologie rappresenta dunque il cuore straziato della Corea, un luogo in cui, ovunque, “la libertà non garantisce felicità”. Kim Ki-duk si dimostra abilissimo nel manipolare le immagini, nel farle attraversare dalle emozioni, nei momenti di lirismo e metafora, parallelamente alle quali fluisce l’argomentazione sociale e politica. La realtà per essere compresa ed esorcizzata ha bisogno di un filtro simbolico. Proprio per questo Il prigioniero coreano, nel tentativo di ricomporre le implacabili insensatezze del conflitto storico fra le due Coree, affida la sua riflessione etica alla forza suggestiva della rappresentazione allegorica.