Featured Image

Il marchio del demonio

2020
Titolo Originale:
La Marca del Demonio
REGIA:
Diego Cohen
CAST:
Eduardo Noriega (Tomás)
Eivaut Rischen (Karl Nüni)
Arantza Ruiz (Camila)

Il nostro giudizio

Il marchio del demonio è un film del 2020, diretto da Diego Cohen.

Dalle mie parti (ma probabilmente anche in altre) si usa la similitudine “brutto come il peccato”. È anche vero tuttavia, come diceva Gastone Moschin nel secondo atto di Amici Miei, che “a volte il peccato ha in sé qualcosa di grandioso”, salvo casi, mia aggiunta, in cui la colpa fa oscillare troppo la bilancia da un lato. Guardando questo film distribuito da Netflix si ha, ab initio, la piena consapevolezza di essere stati messi di fronte ad una fin troppo ardua prova di sopportazione. Sarà colpa anche di un ravveduto pregiudizio per l’ostinata presenza del sottogenere esorcistico nell’Annus Domini 2020, spintasi troppo in là per poter ancora dire e significare, ma anche per variare. Ecco dunque che questo ennesimo tentativo ha al suo interno elementi che, invece di attenuare l’entità del peccato, lo rendono immune a qualsiasi amnistia in terra o indulgenza plenaria in cielo. Si chiarisca dall’inizio che tale valutazione non ha niente a che vedere con la limitatezza dei mezzi.

Si perde la speranza dopo pochi minuti, precisamente quando la filologa Cecilia porta a casa un antico manoscritto che tutti riconosceranno da subito essere il Necronomicon. Le sue due figlie, Fernanda e Camila, leggono alcuni passi in latino e la seconda finisce per essere posseduta da un’entità maligna. A risolvere la situazione verrà chiamato padre Tomás, un esorcista tossicodipendente, insieme ad un uomo misterioso di nome Karl. Quest’ultimo è stato infatti posseduto da bambino e convive tuttora con un demone al suo interno, cosa che lo rende più di tutti capace di combattere il male ed estirparlo dalle persone cadutene vittime. Vi è certamente una variante dunque, sebbene sia a tratti confusionaria e quantomeno ardita. Il fatto che vengano scomodati Lovecraft, il ciclo di Chtulhu ed Evil Dead rappresenta da sé un enorme buco in una zattera che già naviga a stento, vuoi per il rilievo che tali riferimenti hanno, vuoi anche per il loro utilizzo. Se invece si vuole entrare nel merito del modus operandi (perché stiamo pur sempre parlando di un crimine), lo svolgimento de Il marchio del demonio è all’insegna della noia e del cliché.

Non si pretende di essere stupiti dal punto di vista puramente horror e quindi l’attenzione residua è riservata interamente alla sotto-trama inerente al rapporto tra Tomás – un Eduardo Noriega che ci prova e che ti fa domandare cosa è andato storto ad un certo punto – e Karl. Anche qui la delusione è cocente per come il tutto è abbozzato e fin troppo familiare (sacerdote in crisi spirituale o dai metodi poco ortodossi). Difficile continuare a parlare di un film incapace di offrire il minimo spunto, quindi perché ripetersi e girarci tanto attorno, visto che de Il marchio del demonio abbiamo già acclarato la bruttezza? Forse ci si può solo soffermare un attimo su cosa avrebbe potuto salvare un minimo quest’opera disgraziata: magari un po’ di consapevole ironia. In un panorama già devastato da possession movies fin troppo scadenti – tra cui bisognerebbe includere, per onestà intellettuale, anche The Exorcism of Emily Rose, prodromo di un revival anni 2000 per niente necessario – l’arma creativa evocata a più riprese da Umberto Eco – l’ironia, appunto – può essere l’unico modo per affrancarsi da un filone che ha già avuto i suoi irripetibili campioni ed esaurito le sue decenti variabili. Capire che tutto è già stato scritto e mostrato è il primo passo per fare qualcosa di diverso che valga la pena di essere guardato.