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Il legame

2020
REGIA:
Domenico Emanuele de Feudis
CAST:
Riccardo Scamarcio (Francesco)
Mía Maestro (Emma)
Giulia Patrignani (Sofia)

Il nostro giudizio

Il legame è un film del 2020, diretto da Domenico Emanuele de Feudis.

E’ un po’ un controsenso, ma la principale caratteristica di Il legame (ufficialmente il primo horror italiano del nuovo decennio?) sta in una negazione: quella del Giallo, inteso come padre-padrone del proprio genere, per una volta deliberatamente messo da parte. Non ingannino gli spunti di partenza del film, le mille suggestioni, le strizzate d’occhio, il plot. E’ vero, la storia di una famigliola di città (papà Scamarcio, mamma Maestro e bambina) trasferitasi nella magione pugliese della madre di lui, e del confronto con inquietanti locali, superstizioni e possibili presenze, riporta immediatamente a tanti incipit analoghi; ma la direzione che interessa all’esordiente Domenico Emanuele de Feudis è molto diversa. Forse più modesta, senz’altro più moderna. In fondo, i confronti diretti che il cinema italiano ha cercato con il Giallo negli ultimi due decenni non hanno mai veramente convinto; Il legame sceglie allora di aggirare la sua stessa matrice seventies, per confrontarsi con tormentoni essenzialmente contemporanei – dunque ghost-story, possessioni, jumpscare, in una parola Blumhouse. I padri nobili del thriller e dell’horror italiano sono quindi presenti solo a fare colore. Almeno superficialmente, l’estetica cercata da De Feudis è una tombola di segni associabili a quel “gotico mediterraneo” che i primi lavori di Bava e Freda marchiarono nell’altrimenti anglo-centrico panorama orrorifico. Il film ci presenta quindi l’antica magione di campagna, le anziane borbottanti, i pini e gli ulivi, la violenza taciuta, i rituali ancestrali del cristianesimo contadino, lo scontro dei nuovi protagonisti in giacca e cravatta dell’Italia “civilizzata” con un sottomondo inconscio pagano e represso.

Il legame chiama a raccolta questi elementi con sapienza: si tratta di una sorta di usato sicuro dell’immaginario, un conflitto eternamente capace di turbare la coscienza degli italiani moderni (ma in fondo dell’Occidente intero). Addirittura, lo script arriva a flirtare con il folk horror, il sottogenere che più esplicitamente questo conflitto ha sviscerato; un filone fondamentale che però non ha mai trovato terreno fertile nella cinematografia italiana, forse troppo “cialtrona” e beatamente ignorante per intorbidire di antropologia culturale le sue storiacce di assassini maniaci in guanti di pelle. L’unico grande capolavoro del sottogenere da noi resta il Non si sevizia un paperino di Lucio Fulci, e a questi Il legame sottilmente rimanda, trovando una radice teorica comune negli studi etnografici di Ernesto De Martino a fare da base. Rispetto al capolavoro del 1972, questo rapporto con le radici storiche e popolari della violenza è pura facciata decorativa: non c’è lo spazio o l’interesse per tentare un’analisi culturale/sociale/psicanalitica del mondo in cui i tre protagonisti discendono a loro rischio. Le credenze e i miti del Salento (traslati dalla Lucania di De Martino) sono più che altro la generica premessa ad uno svolgimento molto più prosaico. Messe da parte aspettative di questo tipo, questo horror getta la maschera e si rivela come una sorta di apocrifo spin-off del ConjuringVerse in vacanza sul Gargano.

Attento e concentrato studente, l’impegno di De Feudis sta tutto nella riproposizione di quegli stilemi fissati da Jason Blum e compagni in decine e decine di lavori contemporanei. Tutto quanto si trovi intrucco, effetti, sonoro, inquadrature, tutto quanto venga utilizzato per mettere in scena l’incubo della famiglia protagonista, è in qualche maniera riconducibile ad altri prodotti, in un continuo lavoro di rimandi ad altri colleghi più o meno recenti. Non per forza un cattivo segno: per una volta, con umiltà, un film commerciale italiano sta provando a collocarsi nel 2020 anziché rincorrere i Maestri del passato. Peccato solo che scelga di farlo con una proposta timida, derivativa, di chi punta al sei politico con il minimo dello sforzo. Dall’ambientazione (pressoché un unico paio di stanze spoglie), alla violenza (inesistente) fino alle visioni (le solite figure femminili con occhi bianchi e capelli sporchi – nulla che possa confrontarsi con il villain a caso di un Annabelle medio): tutto in Il legame va parecchio al risparmio. L’elemento più prettamente folk, quindi locale, differenziante, nonché la carta più interessante su un piano internazionale, resta pretestuoso all’economia di un raccontino in cui le fascinazioni non si discostano in fin dei conti dai soliti fantasmi rancorosi di derivazione J-Horror. Per correttezza, va allora messo in chiaro che la povertà immaginativa del film, ad a un corrispettivo USA, non sarebbe stata perdonata.  Quanto si vede va bene come biglietto da visita; astutamente il finale rilancia a dei sequel, e a quel punto si pretenderà di più.