Featured Image

Il cattivo poeta

2021
REGIA:
Gianluca Jodice
CAST:
Sergio Castellitto (Gabriele D’Annunzio)
Francesco Patanè (Giovanni Comini)
Tommaso Ragno (Giancarlo Maroni)

Il nostro giudizio

Il cattivo poeta è un film del 2021, dirett da Gianluca Jodice.

Dirigere un film biografico non è mai un’impresa semplice, tanto più se il protagonista è un personaggio controverso e scomodo come Gabriele D’Annunzio (1863-1938), il “Vate” della letteratura italiana: scrittore, poeta, militare, politico e patriota, dunque protagonista di rilievo del panorama culturale e politico del nostro Paese. Ci aveva provato nel 1987 un outsider del Bis italiano, Sergio Nasca, che a partire da una sceneggiatura di Piero Chiara aveva diretto D’Annunzio, con protagonista Robert Powell: un biopic estetizzante ai limiti del calligrafico, ambientato quasi tutto in interni, focalizzato sulla gioventù del poeta, tra le frequentazioni dei salotti culturali e le avventure erotiche. Prende invece tutta un’altra strada Gianluca Jodice, che al suo esordio nel lungometraggio firma il più ostico (ma anche più riuscito) Il cattivo poeta: un film che è una sorta di contraltare del precedente, e che ci mostra un D’Annunzio ormai anziano, provato dalla vita e ritiratosi nella prigione dorata del Vittoriale. Jodice evita i facili luoghi comuni sui rapporti fra il Vate e le donne (nonostante si conceda qualche parentesi in tal senso), per concentrarsi sugli aspetti più difficili e controversi del D’Annunzio politico e dei suoi rapporti col regime fascista. A tal fine, Jodice – che firma anche soggetto e sceneggiatura – racconta la vicenda dalla prospettiva di Giovanni Comini (Francesco Patanè), un personaggio storico, un fascista bresciano che nonostante la giovane età viene promosso a federale. Poco dopo la nomina, Achille Starace gli conferisce un incarico delicato: dovrà recarsi al Vittoriale, dove D’Annunzio (Sergio Castellitto) vive in una sorta di esilio volontario, e spiare il poeta per conto del regime: dopo essere stato un fervente patriota e sostenitore del fascismo, da un po’ di tempo infatti è diventato un personaggio troppo ingombrante, si dimostra insofferente all’imminente alleanza con la Germania, e il governo teme che la sua presa di posizione possa mettere a repentaglio la fiducia popolare nel Duce. Comini entra dunque in contatto con il poeta, che vive ritirato a vita privata e assistito dalle fedeli Amélie e Luisa, per spiarlo e riferire a Roma la situazione. Col tempo, fra il giovane federale e il poeta nasce però un sentimento sincero di stima e fiducia reciproca, nonostante al Vate sia chiara la missione del ragazzo.

Lo stesso Comini, che è venuto a contatto con la brutalità del regime, inizia ad essere inviso a Starace, mentre D’Annunzio si avvia inesorabilmente alla morte. L’esordiente Gianluca Jodice dimostra coraggio – quel coraggio e quella spregiudicatezza che servono al cinema italiano e che troppo spesso manca ai registi – ed è ripagato da un’opera di pregevole fattura, sostenuta da un magnetico Sergio Castellitto, che con una mimesis estetica certosina si cala anima e corpo nei complessi panni del personaggio, grazie a uno sguardo e a una voce penetranti che lo confermano come uno dei migliori attori italiani sulla piazza. Del resto, parliamo di una macchina cinematografica seria – in produzione c’è anche Matteo Rovere, regista e produttore tra i fautori della rinascita del nostro cinema – che consente a Jodice la libertà espressiva e la ricchezza di mezzi necessarie affinché un film di tale caratura non rischi di celebrare le nozze coi fichi secchi. Il cattivo poeta – un’opera che fin dal titolo allude al suo status di poeta maledetto, vuoi per la vita sregolata vuoi per i rapporti col fascismo – è ambientato infatti per buona parte negli interni e negli esterni del vero Vittoriale: un complesso di edifici, strade e piazze situato nel bresciano, dove il Vate trascorse i suoi ultimi anni di vita e che è tutt’ora meta di viaggi culturali. Mentre in parallelo seguiamo la maturazione del Comini, i momenti più riusciti e intensi del film sono proprio quelli ambientati nel Mausoleo che D’Annunzio eresse per sé stesso e a sua futura memoria: gli interni in penombra, fra il gotico e il liberty (l’accurata fotografia vintage è di Daniele Ciprì), gli immensi viali, le imponenti colonne che si stagliano sul Lago di Garda, persino l’anfiteatro e la prua della nave, tutti luoghi dove il gigantesco Castellitto – truccato e vestito con un’impressionante accuratezza storica, spesso con indosso abiti militari – si trascina come un vecchio leone, stanco ma che non vuole smettere di ruggire, e intrattiene dialoghi pregnanti con il giovane Patanè – un attore esordiente, talvolta un po’ impacciato in un ruolo così tosto ma nel complesso efficace nella sua composta eleganza.

Jodice scrive dialoghi dove emerge con forza la sfiducia di D’Annunzio nel fascismo e nel tempo presente, opposta alla cieca obbedienza di Comini allo Stato (una fedeltà che man mano si farà sempre più debole, in una sorta di evoluzione personale), una sfiducia dovuta in particolare all’alleanza con la Germania, che definisce come l’inizio del baratro. Il Vate, che parla con frasi spesso scandite come poesie (ci sono anche citazioni esplicite), è ormai l’ombra di sé stesso, vive nel ricordo dei tempi gloriosi, quelli dei suoi viaggi e delle imprese militari come la conquista di Fiume: come lo definisce Comini in una lettera, è un “fantasma”, un “pagliaccio che fa il verso a sé stesso”. Paranoico e dipendente della cocaina, è ossessionato da fobie assurde (lo vediamo mentre dà la caccia a inesistenti topi) e dal desiderio di parlare con Mussolini, ed è circondato da una corte fatta di personaggi “bislacchi e corrotti”, sempre per usare le parole del Comini: le assistenti Amélie (Clotilde Corau) e Luisa (Elena Bucci), l’amante Emy (Janina Rudenska) – protagonista di una breve scena erotica a seno nudo – l’architetto Maroni (Tommaso Ragno) e il commissario Rizzo (Massimiliano Rossi), sempre indecisi tra la devozione e la pietà. L’opera di Jodice è al contempo politica e culturale, nonché ricca di scene memorabili come la sfarzosa festa, l’incontro di D’Annunzio con Mussolini (che praticamente lo ignora) e la celebrazione della conquista di Fiume con i suoi vecchi commilitoni, fino ai deliri del poeta e alla sua morte, avvenuta in circostanze misteriose. Il cattivo poeta, sostenuto da musiche auliche e da una fotografia d’epoca, è una cupa riflessione sulla morte e sul ricordo dei tempi passati, intrisa di decadentismo e filtrata dal punto di vista di un colosso – D’Annunzio, per l’appunto – che capisce il suo declino ma non vuole arrendersi: un film e un protagonista non molto dissimili, mutatis mutandis, da quello che erano Craxi in Hammamet di Gianni Amelio e Berlusconi in Loro di Paolo Sorrentino.