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I think we’re alone now

2018
Titolo Originale:
I think we're alone now
REGIA:
Reed Morano
CAST:
Peter Dinklage (Del)
Elle Fanning (Grace)
Charlotte Gainsbourg (Violet)

Il nostro giudizio

I think we’re alone now è un film del 2018, diretto da Reed Morano

Chissà perché, i più grandi registi degli ultimi anni, non tutti ma quasi, cioè quelli che hanno vinto l’Oscar o che ne sono stati candidati, non sono americani. Guillermo Del Toro, Martin McDonagh, Steve McQueen, Alejandro Inarritu: inglesi, irlandesi, messicani, molto raro che vi sia tra loro uno statunitense purosangue o mezzosangue. Gli americani nativi non sanno fare nulla. Tecnicamente sono molto preparati, frequentano scuole eccellenti che li mettono nelle condizioni di vantare un pressoché totale controllo della materia filmica. Loro la plasmano, la materia, la piegano, la montano e la smontano, pezzo per pezzo come dal meccanico. Il problema è semmai di ordine generale, e riguarda la mancanza di idee. Dietro un film non c’è soltanto la tecnica, che pure è fondamentale, ma il pensiero, il concetto, il progetto. I think we’re alone now rientra appieno tra le produzioni di retrovia, dove ci stanno tutte le maestranze che un giorno fanno il salto di qualità. Reed Morano è una di loro: ragazza del Nebraska, classe 1977, si specializza in fotografia per cinema e televisione. Poi le viene il pallino della regia.

In I think we’re alone now siamo nella solita cittadina di provincia dopo il solito outbreak influenzale che, come una moderna e terrificante peste nera, ha falcidiato tutti gli esseri umani presenti nella zona e forse nel mondo intero. Gli unici due sopravvissuti sono un nano (Peter Dinklage, ammirato di recente in Tre manifesti a Ebbing, Missouri) e la biondina di turno (Elle Fanning, la ragazzetta di Twixt di Coppola nonchè protagonista di The Neon Demon di Refn). Lui se ne va in giro su un grosso furgone a bonificare le case piene di cadaveri. Avvolge i morti in un sudario di comodo e li porta al cimitero. Lei gli sta dietro, visto che ha perso tutto e non sa dove andare. Si va avanti così, morti di qui, morti di là, musichetta drammatica in sottofondo che ci ricorda che tutto ciò a cui stiamo assistendo non è nient’altro che l’estinzione dell’umana specie. Poi sbuca fuori un cane. Lei è tutta contenta, ma a un certo punto l’animale morde il nano e sparisce come per magia. L’avrà fatto fuori il nano? Non si sa. Comunque una sera la bella bionda, alticcia, vorrebbe farsi l’amichetto barbuto, ma lui, da galantuomo un po’ scemo, rifiuta garbatamente. E infine colpo di scena: forse i due non sono proprio gli unici sopravvissuti all’olocausto. C’è infatti un’altra coppia interpretata da Paul Giamatti e Charlotte Gainsbourg sbucata a seminar zizzania…

I think we’re alone now non è bello, non è brutto, non comunica nulla di negativo se non questo filaccioso e onnipresente senso di noia. Si attende qualcosa che non succede, perché è tutto un battere sugli stessi quattro concetti confusamente ammucchiati (la solitudine dell’uomo, che poi è la solitudine del nano in un mondo dove non è rimasto più nessuno a fargli notare che è nano). Se Reed Morano è un nome sconosciuto, lo è ancor di più, e a maggior ragione, quello del suo sceneggiatore, Mike Makowsky. La prima infastidisce la vista con queste vedute di paesaggi splendidamente fotografati, gli interni accarezzati da una luce soffusa ma crepuscolare, il senso della morte che, pur non irrompendo mai con prepotenza sulla scena, resta a latere, sotto forma di inquietante fuoricampo. Il secondo invece punta al ribasso con un finale alternativo rispetto ai canoni del genere, ma che in realtà affonda definitivamente un film che almeno, fino a quel momento, si teneva ancora in piedi. I think we’re alone now poteva essere un buon film nel solco della tradizione “epidemico da Sundance” (Sopravvissuti di Craig Zobel è uno dei più recenti, anche se forse il capostipite resta l’ancora incompreso The Dead Outside del 2008). Ma alla fine è una continua imitazione senza nerbo né poesia. Vi chiederete perché la Morano abbia fatto carriera. Perché è gnocca.