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Hold the Dark

2018
Titolo Originale:
Hold the Dark
REGIA:
Jeremy Saulnier
CAST:
Jeffrey Wright (Russell Core)
Riley Keough (Medora Slone)
Alexander Skarsgård (Vernon Slone)

Il nostro giudizio

Hold the Dark è un film del 2018, diretto da Jeremy Saulnier.

La prima volta è la proverbiale fortuna del principiante. La seconda è obiettivo talento. La terza è indice di presunte qualità sovrannaturali. Ma la quarta, se Dio la manda buona, è pura intercessione divina. Sarebbe bastato davvero poco a quel geniaccio di Jeremy Saulnier per imbroccare un poker filmico da autentica leggenda, ma, anche stavolta, il miracolo non si è purtroppo concretizzato. Dopo l’ottimo esordio di Murder Party (2007) e la sconvolgente magica doppietta di Blue Ruin (2013) e Green Room (2015), l’ormai (nemmeno più tanto) giovane promessa del cinema indipendente americano 3.0 ha scelto di abbandonarsi alle calde e rassicuranti coccole distributive di mamma Netflix, sfornando con Hold the Dark un torbido thriller di tutto rispetto che, nonostante le gelide atmosfere di una desolata Alaska di frontiera, porta su di sé il peso di una narrazione eccessivamente enfatica e priva della giusta compostezza e sostanza che le avrebbero evitato di sfilacciarsi irrimediabilmente in corso d’opera. Sia ben chiaro: Saulnier è uno che ci sa davvero fare con tutto ciò che gravita attorno alla macchina da presa, dimostrando senza ombra di dubbio di saper gestire qualunque cosa gli capiti tra le mani, in special modo, come in questo caso, un soggetto non partorito dal proprio fertile estro creativo ma adattato dal fido Macon Blair a partire da un ottimo romanzo di William Giraldi. E’ qui che sta il vero problema, ovvero nel dover piegare alla propria tagliente poetica e al proprio inconfondibile stile una materia narrativa proveniente da altrui fantasie, seppur pregna di tematiche care al cineasta di Alexandria come il ferino istinto animale latente in ogni essere umano e la sete di vendetta che cova come un cancro in ogni centimetro del nostro cuore.

Ed è proprio dell’oscurità– tanto reale quanto metaforica – che Hold the Dark ci parla sin dal titolo, trasportandoci nei torbidi misteri che si celano nel desolato e glaciale villaggio di Keelut, dove il naturalista in pensione Russell Core (Jeffrey Wright) viene chiamato dalla giovane Medora (Riley Keough) per cacciare e uccidere il lupo che, a suo dire, avrebbe rapito l’amato figlioletto. Sperduto ai gelidi confini settentrionali di un’America dimenticata, dove l’ostilità della popolazione locale non può che incrementare la già più che sostanziosa tensione generale, l’uomo inizierà ben presto a capire che i cagnoni ululanti c’entrano ben poco con i misteriosi accadimenti e che il piccolo scomparso, il cui padre Vernon (un tostissimo Alexander Skarsgård) di ritorno dall’Iraq, è forse incappato in un destino a dir poco inimmaginabile. Non vi è alcun dubbio che Saulnier sia uno davvero competente e che la sua impeccabile messa in scena giochi un ruolo fondamentale nel rendere Hold the Dark uno dei prodotti certamente migliori rilasciati dalla piattaforma di Hastings e Randoph nel corso degli ultimi penosissimi tempi. Tuttavia, da uno che, non ancora cinquantenne, ci ha sfornato un triplete da pelle d’oca, era lecito aspettarsi molto ma molto di più. E invece, purtroppo, complice forse la proverbiale “compromissione dell’intellettuale” frutto di maggiori baiocchi a disposizione e di un nucleo drammaturgico di terze parti, stavolta i problemi vengono irrimediabilmente a galla, dando luogo a un compitino di genere ben svolto ma, al soldo di tutto, fastidiosamente raffermo.

Sforbiciato di una buona mezz’oretta abbondante – su un totale di ben due ore – e con meno vezzeggi autoriali gratuiti, Hold the Dark ne avrebbe certamente guadagnato in compattezza e incisività narrativa, evitando di far progressivamente crollare l’attenzione sotto il peso di imperdonabili tempi morti e numerose promesse mantenute solo in parte. Sarebbe più che lecito un confronto con I Segreti di Wind River(2017), non fosse che per le numeroso affinità tematiche e atmosferiche che rendono le due pellicole quasi gemelle. Ma se il buon Taylor Sheridan era riuscito a portare a casa un piccolo capolavoro pulito e perfettamente compiuto capace di imprimersi a fuoco nelle menti e nelle iridi dello spettatore senza troppi inutili sbrodoloni, Saulnier carica a manetta ogni inquadratura e ogni dialogo di sottesi metaforici che zavorrano senza sosta il progredire della storia, confezionando una densa epopea sulle ombre morali dell’essere umano condita con sporadiche (e gustose) esplosioni di ultra violenza che, purtroppo, fatica a essere gustata sino alla fine senza qualche sbadiglio di troppo. Stavolta è andata così, ma tranquilli, l’ipoteca di qualità per zio Jeremy è solo rimandata alla prossima puntata.