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His House

2020
REGIA:
Remi Weekes
CAST:
Wunmi Mosaku (Rial)
Sope Dirisu (Bol)
Matt Smith (Mark)

Il nostro giudizio

His House è un film del 2020, diretto da Remi Weekes.

Rial e Bol (Wunmi Mosaku, Sope Dirisu) sono una coppia di migranti rifugiata nel Regno Unito. I due vengono spostati dal centro di accoglienza iniziale a un appartamento fatiscente, che diventa la loro nuova casa. Ma le pareti ammuffite sembrano nascondere qualcosa di oscuro, voci e rumori inspiegabili tormentano Bol, così come alcune visioni soprannaturali: adattarsi in una terra straniera si rivelerà più spaventoso del previsto…Di questi tempi, con la castrazione artistica (auto)inflitta dal politically correct imperante, non è certo semplice imbattersi in rappresentazioni sincere delle minoranze. Ci era riuscito Ladj Ly con i suoi Miserabili, e ci riesce Remi Weekes con la sua casa: His House è un dramma famigliare e politico che non si lascia contaminare da facili moralismi, semplice ma originale, che parla in modo chiaro e suggestivo. L’orrore qui raccontato è quello reale e concreto su cui spesso ci pronunciamo con leggerezza, ma di cui ignoriamo le sfumature più intime, sottili, terrificanti: il tema dell’immigrazione è riletto da Weekes attraverso aspetti propri dell’immaginario horror, che si scoprono adesso di fondamentale importanza espressiva.

L’horror, in quanto esasperazione dei segni, racconta da sempre le ansie e le paure della società che riflette, così che, nel suo eccedere (di tragedia, di senso), ci possa parlare chiaramente e mostrarci ciò che preferiamo rimuovere. L’attualità qui riportata appare terrificante su più livelli. E’ horror, per i protagonisti, lasciare la terra che conoscono, massacrata dalla guerra, per scappare lontano, senza alcuna sicurezza. E’ horror, per due immigrati, doversi adattare alla cultura occidentale, con il rischio (decisamente più spaventoso) di subire la stessa cultura. E’ horror avere a che fare con i propri fantasmi, con la colpa delle proprie azioni che consuma la psiche e si incarna in demoni mostruosi. E’ horror, per noi, assistere a un dramma che ignoriamo, ma che esiste per davvero, vissuto da Bol e Rial come da milioni di immigrati che sono sbarcati, che sbarcano e che sbarcheranno.

E se la forza della sceneggiatura è ormai consolidata, la regia in scena non è certo deludente: dallo stile sobrio e il tocco leggero, l’esordiente Remi Weekes indovina almeno un paio di momenti memorabili (su tutti, la scena surreale che vede Bol mangiare al tavolo della cucina per poi riscoprirsi in mare aperto). Ma non c’è bisogno di urlare al capolavoro: se è vero che la dimensione orrorifica di His House si dispiega su più livelli, è nelle sue espressioni più tipiche che non può nascondere forti banalità. L’idea del fantasma come manifestazione paranormale e simbolica delle proprie colpe è stranota a chiunque (i fantasmi rancorosi dei J-horror di inizio millennio, per fare un esempio), il demone della sequenza finale sembra rubacchiato al mostro di Rec (2007), e l’impiego dei jumpscare è a dir poco sconfortante. Il regista inglese si avvale del genere per sfuggire all’antirazzismo più spicciolo, ma inciampa più volte in soluzioni espressive già note agli amanti dell’horror. La sua opera, comunque, è tra gli originali Netflix più interessanti degli ultimi mesi.