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Hidden – Verità sepolte

2023
REGIA:
Roberto D'Antona
CAST:
Roberto D'Antona (Martin Berardi)
Annamaria Lorusso (Nadia Coppola)
Francesco Emulo (Emilio Lorenzi)

Il nostro giudizio

Hidden – Verità sepolte è un film del 2023, diretto da Roberto D’Antona.

Si può anche scappare. Ci si può perfino nascondere. Ciononostante viene un momento nella vita in cui, prima o poi, volente o nolente tocca fare i conti coi propri demoni. Anzi, coi propri mostri. E non vi è alcun dubbio che un tipo come Roberto D’Antona coi mostri abbia ormai imparato da tempo a conviverci, siano essi premonitrici lamie del sonno, infettivori mangia carne a tradimento, redivive stregacce da borghetto o sciccosi vampironi in odor di sommelier. È infatti un cinema profondamente mostruoso il suo, per quasi un decennio coltivato all’ombra di spauracchi tanto viscerali quanto inevitabilmente gustosi e suggestivi, compresso fra i quattro magici lati di uno schermo fieramente indipendente ma mai naïf, mosso, sempre e comunque, dall’onesta e ferrea volontà di voler intrattenere prima di ogni cosa. E nonostante stavolta il buon Roberto paia aver scelto di mettere momentaneamente da parte quell’orrore puro e anarchico che lo ha da sempre accompagnato sin dall’esoterico esordio di The Wicked Gift – riponendo forse definitivamente nel cassetto anche quella ironia goliardica che aveva raggiunto il suo massimo apice a cavallo tra Fino all’inferno e The Last Heroes –, è ancora una volta un Mostro quello che sembra circolare in lungo e in largo fra gli appartati boschetti e gli isolati anfratti del desolato paesello degli orrori che fa da sfondo a Hidden – Verità sepolte, seminando panico e morte fra le indifese pulzelle del circondario senza tuttavia l’ausilio di canini appuntiti, magici ammennicoli, artigli purulenti o, men che meno, stucchevoli jumpscare. Un Mostro inquietantemente umano, dunque, che, a differenza del celeberrimo ignoto collega fiorentino, sceglie di rivelarsi fin da subito grazie al viscido e raggelante faccione dell’ormai fedelissimo Francesco Emulo, a partire da uno scioccante incipit che, strizzando entrambi gli occhi alla cruda violenza seriale del folle Mr. Sophistication del vontrieriano La casa di Jack, non può che colpire l’ignaro spettatore come una letterale e devastante martellata sul grugno.

Se già con Caleb, infatti, pur rimanendo ancorato ai cari vecchi lidi del sovrannaturale, il saggio D’Antona aveva iniziato a intingere la propria macchina da presa in un clima di oscura “seriosità” che ben denotava il deciso cambio di passo verso una lucida e consapevole maturità, grazie a Hidden eccolo sfornare la sua opera sinora più ruvida, torbida e nichilista. Un nudo, puro e crudo thriller che a tratti sembra richiamare tanto l’argentiana recrudescenza a grana grossa di un giallo post-moderno come Non ho sonno – così come anche le sinistre atmosfere dei neo-noir provinciali di Donato Carrisi – quanto il malato e rugginoso mood da detective story decadente del Fincher di Seven e Millennium. È infatti un desolato microcosmo urbano senza nome né identità il   terreno di caccia prediletto entro il quale il nostro sadico killer seriale seleziona le sue femminine vittime, consegnandole all’oblio eterno grazie al suo fido martello e, dopo essersi divertito sul di loro ancora caldo cadavere, premurandosi di lavare ben bene ogni residua traccia, senza dimenticare ovviamente di collezionare uno scampolo dagli abiti delle proprie malcapitate vittime all’interno di un apposito album con cui potersi ulteriormente trastullare in un secondo momento. Un modus operandi che, tuttavia, non sfuggirà certo al fiuto investigativo della scaltra Nadia Coppola (Annamaria Lorusso), coraggiosa scrittrice che, così come recita il titolo del suo ultimo libro-inchiesta, pare più che mai decisa a rompere il “Silenzio assordante” che incombe sui terribili fatti di sangue che affliggono la cittadella, aiutata in questa sua rischiosa indagine dall’altrettanto storico giornalista Filippo Valenti (Alex D’Antona), dal di lui compagno Daniele (Alberto Fumagalli) e dal ferreo ispettore Davide Olivieri (Stefano Tiraboschi). Ma ecco che, così come nel più classico dei racconti a puzzle di Iñárritu, anche la vita tutt’altro che tranquilla di Martin Bernardi (Roberto D’Antona), diviso tra l’imminente paternità affianco alla giovane moglie Gaia (Giulia Mesisca) e alcune fastidiose frizioni lavorative causate dalla gelosia del rampante capetto Giacomo (Fabrizio Narciso), finirà anch’essa per incrociare tragicamente questa mortifera fabula, trasformando, suo malgrado, il nostro (anti)eroe – in apparenza remissivo ma segretamente pronto a tutto come il Salvatore Esposito del perturbante L’eroe di Anania – nel protagonista di un oscuro intreccio bagnato dal caldo fuoco dalla vendetta.

“Occorre ampliare l’orizzonte: andare oltre la linea di confine”. Così come suggerito dal tutt’altro che casuale slogan aziendale coniato dallo stesso Martin per conto della Romano Design & Associati di cui è dipendente, lo scaltro D’Antona sembra aver accolto appieno la sibillina filosofia del personaggio da lui stesso incarnato, impiegando sapientemente una solida testa d’ariete come quella di Hidden per abbattere ogni residuo muro di contenimento attorno al proprio cinema e, pur senza rinnegare mai per un solo istante i propri trascorsi, ponendo la sua penna e il suo obiettivo verso una prospettiva ormai dichiaratamente più cinica e disincantata. È infatti un’opprimente e velenifero miasma di cupa disperazione quello che si respira dal principio alla fine (soprattutto alla fine) di questa ombrosa epopea di crudeltà, femminicidio, violenze domestiche e, come da titolo, verità sepolte che, nelle sue serrate e angoscianti due ore e un quarto, riesce brillantemente a mettere in scena, anche grazie ad una dose di violenza,  un viaggio da incubo – e Ai confini del male, per citare la speculare e affine opera di Vincenzo Alfieri – attraverso la più sadica e letale follia che alberga nell’intricato labirinto della mente umana. Un’opera desolante e senza alcuna vera speranza, confezionata dal talentuoso regista grazie all’ausilio della sua consueta e ormai rodata filosofia produttiva che, affianco ad una selezionatissima factory di fidatissimi collaboratori e a un pieno controllo creativo e produttivo dell’intero progetto, contorna stavolta un respiro ben più ampio ed ambizioso. Un autore, insomma, ormai perfettamente a proprio agio con i filmici strumenti del proprio sporco mestiere, lontano anni luce dai fisiologici limiti propri all’universo indie e perfettamente in grado, ora come ora, di poter tener testa alla nuova ondata di prodotti e autori del panorama di genere che sembrano finalmente essere tornati a capeggiare sui grandi e piccoli schermi del nostro bel dannato paese.