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Hello, My Dolly Girlfriend

2013
Titolo Originale:
Figyua na anata
REGIA:
Takashi Ishii
CAST:
Kokone Sasaki (Kokone)
Tasuku Emoto (Kentaro)

Il nostro giudizio

Hello, My Dolly Girlfriend è un film del 2013, diretto da Takashi Ishii.

Hello, My Dolly Girlfriend (Figyua na anata, 2013) è un film di Takashi Ishii, con Kokone Sasaki, Tasuku Emoto e Mitsu Dan. Kentaro trova per caso una bambola vivente che non solo ha tutte le sembianze di una bellissima donna, ma che è anche pronta a soddisfare i suoi bisogni sessuali. Hello, My Dolly Girlfriend sembra esattamente un film girato da un maniaco per un pubblico di maniaci, in cui la volgarità delle scene più esplicite è così sterile da perdere ogni potenza evocativa.

TRAMA

In Hello, My Dolly Girlfriend, Kentaro è una persona senza amici, un perdente. Licenziato dal suo lavoro, perde anche l’ultimo briciolo di dignità e decide di annegare nell’alcol le sue miserie. Vagando in un edificio abbandonato, nel cuore del quartiere del piacere,trova una bellissima bambola a grandezza naturale. La bambola è così realistica che la sua pelle è morbida e calda, ma è priva di battito cardiaco. Nella sua coscienza confusa, l’uomo vede la bambola trasformarsi in una ragazza cyborg che lo salva da alcuni teppisti. La bambola diventa così il suo angelo custode e la sua amante, in grado di soddisfare tutte le sue fantasie. Fin dove si spingerà la loro storia d’amore?

RECENSIONE

Hello, My Dolly Girlfriend mette in scena il sogno erotico giapponese: trovare, per fortuito caso, un oggetto (robot, bambola, androide, etc..) che non solo ha tutte le sembianze di una bella donna, ma che è anche pronta a soddisfarti tutti i bisogni sessuali. Masazaku Katsura l’ha deviato in un romanticismo che ha prodotto quel capolavoro manga di Video Girl Ai, mentre Hirokazu Kore-eda l’ha reso esistenziale con il bellissimo Air Doll. Takashi Ishii, che è un veterano della perversione, ne fa purtroppo un’opera senile: Hello, My Dolly Girlfriend sembra esattamente un film girato da un maniaco ottantenne per un pubblico di maniaci ottantenni, in cui la volgarità delle scene più esplicite è così sterile da perdere ogni potenza evocativa.

L’autore nipponico sguazza nella gratuità più segaiola e, salvo le bellissime sequenze finali che paiono urla di desolazione alienata, finisce troppo spesso per girare su se stesso, come un vecchio ormai impotente in cerca disperata di Viagra. Alla fine, a rimanere è una vagina che non smette mai di essere plastica combustibile.