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Grace

2009
Titolo Originale:
Grace
REGIA:
Paul Solet
CAST:
Jordan Ladd
Stephen Park
Gabrielle Rose

Il nostro giudizio

Paul Solet trasforma il suo corto del 2006 in un lungometraggio, un horror sanguinolento in cui una madre mette al mondo una bimba assetata di sangue.

Si potrebbe discutere parecchio per riuscire a definire Grace: è forse un film sulla forza della vita sulla morte, o piuttosto un ritratto di come quest’ultima possa prevalere anche su una vita all’inizio come è quella di un infante? O, come il titolo potrebbe far intuire,Grace è un film sulla speranza, sull’istinto e sull’amore materno che si manifestano invincibili anche quando ciò che si è partorito supera i confini della normalità, intaccando quell’idea di sogno perfetto che ogni madre ripone verso il parto e la maternità.

Certo è che questa speranza, comunque inestinguibile nel poter e dover amare la propria creatura sempre e ad ogni costo, viene a subire parecchie prove estreme e brutali, sottoponendo alla povera partoriente la maternità, e tutto ciò che vi concerne, come un incubo deforme ed inquieto, dove gestazione, parto o un “semplice” allattamento sono una copia distorta di ciò che dovrebbero essere in natura. In questo senso, non aiutano i parallelismi tra la protagonista e la propria suocera, che il regista ci mostra con una certa vena di acida ironia, in una sottile ma riuscita autocritica verso fissazioni quotidiane (quasi tutte tipicamente americane) come il vegetarianismo a tutti i costi, l’ossessione della suocera nell’ottenere l’affetto della neonata e, non ultima, la forse inconscia regressione della matura donna sul piano socio-sessuale, arrivando a farsi succhiare, in una scena, il seno sfiorito dal marito.

Grace ha avuto uno sviluppo piuttosto travagliato: temendo di non riuscire a far comprendere ai potenziali produttori lo spirito del film, il regista diresse un corto che ripercorreva la trama a grandi linee, trovando così un finanziamento sufficiente per elevare la pellicola ad un budget dignitoso, a fronte di costi non elevatissimi: Paul Solet (leggi l’intervista) è riuscito a sfruttare al meglio il materiale a disposizione, puntando soprattutto sul creare un’atmosfera che galleggia, grazie anche all’eccellente lavoro della fotografia, per una metà tra la bolla di candore e pace delle sequenze che inquadrano il rapporto speciale tra madre e figlia, e per l’altra a scene volutamente oscure, quasi a nascondere l’evoluzione tragica ed anormale della vicenda agli occhi dello spettatore, creando un alone di disagio ed inquietudine. Con un ensemble di entusiasti ed esperti membri del cast e della crew, il regista è riuscito a plasmare un’opera che, per quanto piccola, dimostra pienamente il suo valore, alla larga dagli spaventi facili e all’ultrasplatter fin troppo insiti anche nella scena indipendente americana.