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Ghost Stories

2017
Titolo Originale:
Ghost Stories
REGIA:
Jeremy Dyson, Andy Nyman
CAST:
Martin Freeman (Mike Priddle)
Alex Lawther (Simon Rifkind)
Nicholas Burns (Mark van Rhys)

Il nostro giudizio

Ghost Stories è un film del 2017, diretto da Jeremy Dyson e Andy Nyman.

Se cercate un horror che sappia insinuarsi nelle pieghe più profonde della paura umana per eccellenza, quella che si prova di fronte all’ignoto, all’inspiegabile, avrete adesso buon pane per i vostri denti grazie a Ghost Stories, un horror antologico che proviene, guarda caso, dall’Inghilterra, la cui industria cinematografica in passato ha fatto dell’horror a episodi un marchio di fabbrica noto in tutto il mondo, ma che è nazione parimenti nota per essere patria dello humour nero. E a dimostrare che in questo Paese la linea di demarcazione tra la risata e l’urlo è così tenue da essere permeabile e facilmente scavalcabile, ci ha pensato uno dei gruppi comici più famosi in patria, The League of Gentleman (Mark Gatiss, Steve Pemberton, Reece Shearsmith e Jeremy Dyson) il cui umorismo macabro è sfociato paradossalmente in prodotti dove la risata è un mero contorno di atmosfere più cupe e contenuti macabri. E’ proprio Dyson che, dopo anni di lavoro dietro le quinte, decide con l’amico Andy Nyman, attore e mago conosciuto ai più per la serie Peaky Blinders, di mettere in piedi una pièce teatrale di genere horror che a Londra terrà banco per più di due anni, nonostante (o forse proprio in virtù di questo) il disclaimer a caratteri cubitali sconsigliasse la visione dell’opera ai deboli di cuore, a chi soffrisse di problemi ai nervi e alle donne incinte. La proficua ricezione garantita dal pubblico, ha spinto Dyson e Nyman ad adattare gli ottanta minuti di copione teatrale in una sceneggiatura per il grande schermo, con la collaborazione di un solido cast, in cui campeggia il nome di grande richiamo di Martin Freeman (Sherlock, Lo Hobbit).

Così come nella versione teatrale, lo stesso Nyman interpreta il professor Phillip Goodman, nato e cresciuto in una famiglia ebraica e plasmato dall’esempio datogli dal divulgatore Charles Cameron (Leonard Byrne), il quale interveniva in casi di poltergeist o di esorcismi svelandone truffe e menzogne; come quest’ultimo il professore si mette alla caccia di impostori e truffatori con presunte doti paranormali, sbugiardandoli davanti alle telecamere. Un’inaspettata visita dello stesso Cameron, da anni misteriosamente scomparso nonché radicalmente convertitosi, svela a Goodman la possibilità che esista davvero un aldilà che interagisce con la nostra dimensione. Per dimostrarglielo gli presenta tre casi da lui raccolti e studiati, alla cui spiegazione è impossibile arrivare seguendo i normali sentieri della ragione. Goodman indaga, incontrando personalmente i protagonisti dei casi irrisolti. Nel primo, il caso Tony Matthews (Paul Whitehouse), il custode di una struttura correttiva abbandonata viene disturbato durante il turno di guardia dal fantasma di una bambina. Il secondo caso, Simon Rifkind (Alex Lawther), forse il brano più terrificante del gruppo per come gioca con le ambientazioni e con il fuori campo, riguarda un ragazzino che non dorme più ed è ossessionato da visioni sataniche sin dalla notte in cui si è inoltrato in un bosco con l’auto rubata ai genitori. Distratto dal telefono, investe una persona, ma dopo essere sceso per sincerarsi delle sue condizioni ne nota le sembianze demoniache e si dà alla fuga. L’auto, ovviamente, rimane in panne e durante l’attesa dei soccorsi il protagonista subisce l’assedio della creatura caprina. Nella terza e ultima storia, l’ordinato Mike Priddle (Martin Freeman) vede la geometrica perfezione della sua casa guastarsi per effetto di un poltergeist casalingo, che infesta la stanza della figlia mai nata.

Sebbene ogni racconto si apra con un cartello con il nome dell’episodio, la storia non segue affatto la solita tradizione schematica dell’horror antologico fatto da cornice introduttiva e storie a sé stanti, tipica della scuola Amicus e dei suoi derivati. Nonostante si alternino diversi registri visivi la narrazione è liquida, non c’è mai la sensazione di uno scollamento tra le parti, pur diverse tra loro, e a giovarne è sicuramente la tensione, che non ha modo di scemare. Mentre la stragrande maggioranza degli horror antologici soffriva cronicamente di uno squilibrio sensibile tra una storia e un’altra, Dyson e Nyman, entrambi alla regia e alla sceneggiatura, mantengono compatta la storia in un crescendo narrativo dove gli episodi non soverchiano per importanza la cornice. I vari flashback che raccontano le “storie incredibili” diventano bensì delle tappe in un percorso verso gli inferi compiuto dal protagonista e, in ultima istanza, dallo spettatore, che da San Tommaso, scettico a prescindere, vede pian piano le proprie certezze minate.  Insieme ai racconti al di là dei limiti del razionale, Goodman affronta anche visioni inquietanti che, lentamente, si intrecciano con il suo passato. Ogni elemento confluisce nel finale di stampo teatrale, un aprirsi continuo di sipari e uno squarciare perenne di quinte di cartone per arrivare in abisso a una verità inquietante, in cui il terrore diventa un percorso di espiazione dei propri peccati o una prigione all’interno della consapevolezza delle proprie colpe. Il ritmo pacato ma implacabile fa di Ghost Stories uno degli horror più riusciti degli ultimi anni, il mondo che Dyson e Nyman hanno creato, tra atmosfere macabre e jump scare improvvisi, è senza via di uscita. Minaccioso come un incubo lynchiano.