Featured Image

Ghost Lab

2021
REGIA:
Paween Purijitpanya
CAST:
Thanapob Leeratanakachorn (Wee)
Paris Intarakomalyasut (Gla)
Nuttanicha Dungwattanawanich (Mai)

Il nostro giudizio

Ghost Lab è un film del 2021, diretto da Paween Purijitpanya.

Dopo aver visto un fantasma, i medici Wee (Thanapob Leeratanakachorn) e Gla (Paris Intarakomalyasut) si impegnano per dimostrare l’esistenza della vita dopo la morte. Gla, in particolare, ha dedicato gli ultimi vent’anni alla ricerca parascientifica, e dopo aver condiviso un avvistamento con il collega Wee, lo coinvolge nel vivo delle sue scoperte. Insieme, i due iniziano a sognare in grande: si immaginano sulla copertina della rivista scientifica più importante al mondo, e già vedono la loro scoperta al pari di quelle di Newton, Einstein e Franklin. Ma la loro smania di successo, mescolata a un sincero bisogno di entrare in contatto con una realtà invisibile, li condurrà verso dei gesti estremi: pur di portare a termine l’esperimento, uno di loro è costretto a morire… Il nome di Paween Purijitpanya rispunta fuori dopo quasi dieci anni di silenzio. Forse non molti se lo ricorderanno, ma Purijitpanya è uno di quelli che ha contribuito al risveglio dell’horror thailandese in un momento di particolare vivacità produttiva per il paese e di grande interesse da parte dei distributori esteri.

Ha partecipato agli horror antologici 4bia e Phobia 2, e il suo primo film, Body, del 2007, a suo modo ha lasciato un segno nell’ambito del thai horror. Ma il suo ritorno firmato Netflix svela una volta per tutte le fragilità di un cinema personale ancora troppo immaturo, di un autore combattuto tra ambizioni commerciali e follie della narrazione. Stavolta la trama si macchia di tantissime assurdità, pur senza entrare nella sfera del grottesco. I toni del racconto sono molti: particolarmente comedy nelle prime sequenze e poi sempre più dark, ma senza rinunciare a schegge sentimentaliste, scenette melense e qualche gag (poco) divertente. Diciamo: poco “terrorismo dei generi” e molta indecisione. Le incertezze risiedono anzitutto nella sceneggiatura, scritta a sei mani, ma colpiscono anche lo schermo. Si passa con frenesia dalle “riprese tradizionali” al found footage, tanto che i continui cambi di aspect ratio, di qualità dell’immagine e di messa in scena hanno l’effetto di un vero bombardamento visivo. In generale, la sensazione che permea Ghost Lab è quella di una profonda disarmonia, impossibile da colmare, impossibile da accettare.

I fantasmi di Purijitpanya sono fuggevoli, impossibili da catturare con l’obiettivo di qualsiasi videocamera. E sono proprio le loro immagini negate a spingere i due protagonisti verso la loro ricerca scientifica, verso il delirio. “Il film Shutter è una cazzata” dice Gla, perché lì i fantasmi sono visibili proprio attraverso un occhio meccanico. Fino a quindici o venti anni fa si poteva ancora aver paura di vedere troppo, ma adesso si tratta di non vedere abbastanza. In fondo, i personaggi di Ghost Lab sono sì interessati a dimostrare l’esistenza dei fantasmi, ma hanno bisogno anzitutto di vederli, di fotografarli, di filmarli. E ne hanno bisogno per puro piacere personale. Perché ciò che non possiamo rappresentare ci fa paura. Ghost Lab è quindi un film legato profondamente al nostro tempo, che con la sua schizofrenia di immagini non fa che accentuare l’ossessione per la visione. Eppure, al tempo stesso, la scrittura del film non sembra così interessata a queste implicazioni di senso (forse del tutto non previste), quanto piuttosto ai tratti sentimentalisti del racconto, così come alle teorie parascientifiche su una vita successiva alla morte. Talvolta troppo serioso, talvolta fin troppo ridicolo, e così saturo di elementi da assuefare le nostre menti e ammorbare i nostri spiriti. Che dire… Shutter sarà pure una cazzata, ma vale molto più di questa roba.