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German Angst

2015
Titolo Originale:
German Angst
REGIA:
Jörg Buttgereit, Andreas Marschall, Michal Kosakowski
CAST:
David Brückner (Ballerina del Mabuse Club)
Annika Strauss (Kasia)
Désirée Giorgetti (Maya)

Il nostro giudizio

GermanAngst è un film del 2015 diretto da Jörg Buttgereit, Andreas Marschall e MichalKosakowski.

È  una moda ormai… Purtroppo… Una moda che sembra non voler passare tanto in fretta come si sperava. Anzi, più che una moda è una iattura, questa dei film a episodi, che raggruppano sotto lo stesso ombrello nomi di registi più o meno famosi, più o meno giovani, più o meno “cult”, decisi a rilanciare la propria immagine in un’epoca in cui sembra impossibiletrovare i soldi per finanziare un film intero. L’hanno fatto gli inglesi, gli americani, i canadesi e lo faranno (forse) anche gli italiani, ma intanto, questa volta tocca ai tedeschi. GermanAngst propone una la sacra trinità dello splatter teutonico: Jörg Buttgereit, Andreas Marschall e MichalKosakowski. Il primo, era diventato famoso alla fine degli anni ‘80 con il “malatissimo” Nekromantik (1988), il secondo, si era fatto notare con il raffinato Lacrime dei Kali (Tears of Kali, 2004) e il terzo… beh, il terzo aveva fatto una roba che si chiamava Zero Killed (2011), un finto documentario sull’arte di ammazzare che, in perfetto spirito alemanno, ci andava giù parecchio pesante. Insieme i tre, riuniti grazie alla volontà e ai soldi di Kosakowski (che figura anche come produttore) hanno dato anima e forma a GermanAngst, presentato in anteprima all’ultimo Festival di Rotterdam.

Tre episodi, dunque. Nel primo, Final Girl di JörgButtgereit, una ragazzina (Lola Gave) vive sola in casa con un Guinea Pig e un uomo (AxelHolst) legato nella stanza da letto adiacente, colpevole (forse) di averle fatto un qualcosa di non troppo bello che la spinge a vendicarsi con le cesoie. Ahi! Nell’episodio di Michal Kosakowski Make A Wish, invece, una coppia di sordomuti ebrei (lei è la B-Movie Girl, Annika Strauss, quella di La petite mort e Seed 2) viene presa di mira da un gruppo di hooligan naziskin ma, grazie a un amuleto magico (sic!), riesce a ribaltarei ruoli di vittime e carnefici. L’ultimo episodio, quello di  Andreas Marschall, Alraune, invece racconta la notte tragica di un uomo (Milton Welsh) alla ricerca della “scopata più appagante della sua vita”, tra tentazioni feticistiche e droghe rinvigorenti estratte dalla radice della mandragora. Alla fine, le ossessioni erotiche prenderanno forma (e carne) nella maniera più estrema possibile.

In GermanAngst, l’episodio di Buttgereit è forse il migliore, fatto tutto di silenzi e voce fuori campo che racconta “altro” rispetto alla violenza che sta per esplodere incontrollata. C’è un che di poetico, come del resto c’era anche nei suoi precedenti lavori, ma alla fine nulla si aggiunge e nulla si toglie a quanto già visto e detto in Schramm (1999). Michal Kosakowski, invece riesce ad essere solo irritante nella sua presunzione di tirare in ballo la Guerra e l’Olocausto per giustificare la violenza consumata a suo di schiaffoni e calci nei reni da parte dell’ebreo entrato nel corpo del nazista. Per dire cosa poi? Che siamo tutti delle bestie? Che basta dare il potere in mano a qualcuno per trasformarlo in un assassino spietato? Che la crudeltà è figlia della crudeltà? Boh!… Pretenzioso e anche un po’ sciocchino… Almeno Andreas Marschall non si prende troppo sul serio (anche se il suo episodio è chiaramente il più costoso) e gioca con le proprie ossessioni. Non tanto con il giallo all’italiana, come aveva già fatto (e bene) nel precedente Masks (2011), ma con certo cinema dei mostri che, da X-tro a Urotsukidōji, ha avuto l’ardire di mischiare sesso e violenza nel più becero dei modi. Nella scena in cui l’uomo che ha assunto la mandragora si fionda nel letto della disponibile ragazza (la già più volte stuprata Désirée Giorgetti del Morituris di Picchio/Perrone), assistiamo a un momento di trasformazione al “lattice”– spudorati effetti speciali di una volta che funzionano bene e meglio anche senza il digitale – che addirittura farebbe pensare al Society di Brian Yuzna. Ci si diverte, ma il tutto dura poco, appunto lo spazio di un cortometraggio.