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Finch

2021
REGIA:
Miguel Sapochnik
CAST:
Tom Hanks (Finch)
Caleb Landry Jones (Jeff)
Samira Wiley (Weaver)

Il nostro giudizio

Finch è un film del 2021, diretto da Miguel Sapochnik.

Finch (Tom Hanks) è uno scienziato che va per la terza età, un uomo di rara intelligenza e inventiva, nonché uno dei pochissimi sopravvissuti sul pianeta. I buchi nell’ozono, infatti, sono ormai così larghi da non permettere l’esposizione della pelle alla luce del sole (le radiazioni e le piogge acide uccidono chiunque in pochissimo tempo). Finch ha comunque trovato il modo di continuare a vivere, ma è molto malato, e trovare cibo e medicine tra le rovine sta diventando sempre più difficile. Così, impegnando tutto il suo genio, lo scienziato costruisce un robot, un’intelligenza artificiale che sceglie per se stessa il nome di Jess. La sua missione è quella di trovare cibo per Finch e per il suo cane, Goodyear, ma ben presto la presenza di questa macchina si trasforma in qualcosa di più per il proprio creatore. Una compagnia. Un’amicizia.

Finch è un filmetto per famiglie tutto sommato innocuo, fin troppo derivativo per dirsi originale e troppo studiato a tavolino per toccare il fondo. E’ un prodotto, targato Apple, che funziona in tutto, ma che sembra inventato e costruito dal suo protagonista (il racconto procede in modo meccanico, percorrendo strade già battute e svolte narrative prevedibili). E come buona parte dell’ultimo cinema di fantascienza hollywoodiano, anche Finch punta tutto sull’aspetto e il portamento cute del suo robot protagonista. Ma appunto, viene da chiedersi chi sia il vero protagonista del racconto: il personaggio di Tom Hanks che dà il nome al film, o magari le sue creazioni (anche il cane non potrebbe esistere senza di lui). In particolare, il robot Jeff sembra catalizzare su di sé tutta l’attenzione dello spettatore: è strano a dirsi, ma per noi è molto più facile immedesimarsi in una macchina che parla, fatta di metallo e cavi elettrici, piuttosto che con uno scienziato geniale e in fin di vita. Perché Jeff, come noi, viene catapultato in un mondo (narrativo) che crede di conoscere, ma di cui ignora le leggi e i fatti recenti.

In realtà, la distopia pensata dagli sceneggiatori Craig Luck e Ivor Powell non fa che recuperare una lunga tradizione della fantascienza, quella che racconta di individui solitari tra le rovine di un mondo perduto. Mark Fisher, a tal proposito, scrive: “L’idea di esplorare un mondo in cui gli esseri umani sono ormai estinti esercita un potente richiamo fantasmatico. Eppure sembra che arrivi sempre un momento in cui la fantasia crolla: le storie che partono da questa premessa a un certo punto finiscono fatalmente per ricostruire un mondo umano.” Finch si allinea perfettamente a questa tendenza. Il robot di Miguel Sapochnik (regista di Repo Men, il remake) è tanto umano nell’uso del linguaggio che percepiamo e accettiamo il suo esserci senza esitazioni. Per questo la scena finale non ci inquieta: il mondo rappresentato non è portato avanti da delle semplici macchine, ma da esseri meccanici di rara umanità. Certo, sarebbe troppo pretendere da Finch una sfida alla tendenza delineata da Fisher, ma almeno così avremmo visto qualcosa di nuovo.