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Filth

2013
Titolo Originale:
Filth
REGIA:
Jon S. Baird
CAST:
James McAvoy (Bruce Robertson)
Jamie Bell (Ray Lennox)
Imogen Poots (Amanda Drummond)

Il nostro giudizio

Filth è un film del 2013, diretto da Jon S. Baird.

“Same rules apply”. Tutto torna nella penna e nella vita di quell’Irvine Welsh che scrive di una vendetta a base di HIV e stupri in Sangue marcio e dell’amore di Stevie e della sua ragazza a un party in Vittoria di capodanno, perché quell’Irvine Welsh è sì un ex-tossico ed ex-spazzino ma anche l’autoironico autore che si ritaglia il cammeo di quel coglione di Mikey Forrester in Trainspotting o che scrive un capitolo notturno e dolente intitolato There is a Night That Never Goes Out.

L’oramai cinquantaseienne scrittore scozzese non si è mai appiattito sull’aura di malattia e violenza e morte che circonda la sua opera, al contrario è un autore capace di crescere nel tempo e lavorare ai fianchi del romanzo più tradizionale (Colla) o delle sempre amate raccolte di racconti (The Acid House, Ecstasy), e arrivare ad auto-alimentare la mitologia narrativa del mucchio selvaggio del suo seminale esordio (ancora, Trainspotting) con altri lavori che scorrono avanti e indietro nel tempo della madrepatria Edimburgo (Porno e Skagboys).

E tra le tante svolte letterarie del più grande tifoso degli Hibs c’è anche quello strano e avvolgente romanzo psicologico che è Il lercio (Filth in originale), discesa agli inferi della mente e del corpo ritenuta infilmabile. “Same rules apply”, quindi.è questo il mantra violento e candido, cinico e comprensivo assieme, che il detective sergeant Bruce Robertson si e ci ripete di continuo nel suo andirivieni di sniffate, orge, seghe e soprusi in un’Edimburgo pronta a subire l’uno-due del Natale e del Capodanno.

“Robbo” è al centro di diversi casini, che vanno dalla moglie che l’ha lasciato portando con sé la loro bambina, all’omicidio di uno studente giapponese pestato a morte da una banda di teppisti, il tutto mentre lotta con ogni subdola arma contro i suoi colleghi per accaparrarsi la promozione a detective inspector e cercare di far fronte ai suoi problemi psichici legati a un trauma infantile… Filth è davvero la prima opera di Welsh che va oltre lo steccato costruitosi attorno con gli iniziali lavori, e lo fa con estrema consapevolezza e marcando subito il terreno: Robbo è sbirro, protestante, massone e soprattutto tifoso degli Hearts. L’importanza del libro nel corpus acido dell’autore è quindi lampante, ed è con un misto di attenzione e fervore che lo sceneggiatore-regista Jon S. Baird se ne è appropriato, con uno script pronto da diversi anni che è entrato in turnaround negli ultimi cinque fino a trovare i soldi necessari grazie a nove case produttrici di sei diverse nazioni.

Uscito a fine 2013 in Gran Bretagna – facendo vincere a McAvoy il premio di miglior attore ai British Independent Film Awards e a Baird il premio come “Breakthrough British Filmmaker” ai London Critics Circle –, il film è l’equilibristica risultante del romanzo di Welsh, gli script/regia di Baird e l’interpretazione di James McAvoy: Baird aveva all’attivo soltanto Cass (2008), solido film sull’hooligan Cass Pennant; McAvoy invece è tornato di qua dell’Atlantico aderendo tout court finanziariamente e attorialmente al progetto.

Il risultato è uno strano e curioso film, che penetra negli occhi a poco a poco grazie a una ridondanza che non si basa sull’accumulo quanto sugli scarti, gli spostamenti. La sfrontatezza visiva e verbale, con Robbo che ci spiattella in faccia, in camera, sorrisetti e diti medi, non inganna, ed è sempre la smorfia grottesca e dolorosa o il ricordo tenero e lontano che attanagliano il protagonista e la storia. Che si equivalgono, stanno l’uno sull’altra, perché non usciamo mai dalla testa e dalle emozioni chimiche dell’aspirante detective inspector: di più, tutto il film è un primo piano delle occhiaie, la barba, i capelli di McAvoy.

Un McAvoy che assieme a Baird ha barattato il decadimento fisico e nero del libro per l’ironia e le turbe psichiche di Filth, disinnescando il lerciume di emorroidi e palle flaccide per una noia fatta di sex, drugs & violence che però quando si squarcia in attimi di consapevolezza e dolore è acuta, sincera. Quanto l’umanità attoriale che gli sta attorno, un cast di facce e corpi calibratissimi, dai primi-nomi Eddie Marsan e Jim Broadbent, a Imogen Poots, Gary Lewis e sopratutti Jamie Bell – collega/rivale/protetto di Robbo, magari protagonista del futuro sequel del libro e del film, Crime.