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Fear Street parte 2: 1978

2021
REGIA:
Leigh Janiak
CAST:
Meghan Packer (TV Anchor)
Gillian Jacobs (C. Berman / Ziggy

Il nostro giudizio

Fear Street parte 2: 1978 è un film diretto da Leigh Janiak, uscito nel 2021

Il gioco Fear Street continua, e il livello resta buono. Già questa è una novità: segno di una pianificazione che va oltre i singoli exploit, riuscendo a gestire la benzina e a mantenere costante l’impegno di autori e cast. Vantaggi di questo inedito format produttivo: un franchise cinematografico da grande pubblico, prodotto con i criteri di una miniserie televisiva – con la dimensione artistica del primo, e la serenità e libertà creativa della seconda. Arrivati all’atto centrale e al secondo balzo temporale all’indietro, si fanno ulteriormente chiare le contorte ambizioni del progetto. Fear Street parte 2: 1978 è, dunque, uno slasher a misura di grande pubblico (che non vuol dire stupido o banale), arrivato dopo un decennio di vuoto a reintrodurre, per il disabituato target Netflix, il mai troppo compianto splatter da multisala. Multisala che non c’è, sostituita (provvisoriamente, definitivamente?) dagli account casalinghi: due entità più sovrapponibili di quanto non sembri. Nel capitolo di mezzo, il tono scherzoso e velatamente parodico dell’operazione Fear Street prende ulteriormente il sopravvento. La tripletta di lungometraggi non è un omaggio alla vecchia scuola di serial killer con armi da taglio più di quanto, per citare uno dei lavori idealmente più prossimi, il Monster Squad di Fred Dekker e Shane Black non lo fosse per i mostri Universal. Come già nel classico giovanile del 1987, anche nella trilogia Netflix ci si trova in una strana terra di nessuno editoriale – fuori tanto dal nerdismo scemo quanto dall’horror duro e puro. La proposta è semmai quella di un giocoso lavoro di ricollocamento degli idoli d’infanzia, rivisitati alla luce di una nuova sensibilità teen figlia dei tempi. Consapevole, ma non per questo smitizzante.

In Fear Street parte 2: 1978 persiste, dunque, la cinica idea di fare il viaggio nel tempo senza muoversi, liquidando la ricostruzione storica in favore di un approccio più prossimo al cosplaying che alla mimesi stilistica. 1994, in fondo, era già un teen horror del 2021, con personaggi pretestuosamente sprovvisti di internet e cellulari; ora ci si trova nel 1978 (dice il titolo), ma all’infuori della didascalica e costosissima OST in tema, è sempre di oggi, e del cinema di oggi, che si parla. I superstiti del primo film si accomodano, dunque, a raccontarsi un nuovo lungo flashback, rievocando la drammatica notte d’estate in cui un assassino armato di ascia fece a pezzi decine di ragazzini di una colonia estiva – in una nuova tappa nella sempre agitata storiografia horror della turbolenta suburbia di Shadyside. Rispetto all’imprevedibilità di 1994, bizzarro e divertente ibrido di Scream, Annabelle e Scoody Doo, Fear Street parte due: 1978 è sicuramente più chiuso e centrato. Capitolo di mezzo, non è rallentato da spiegoni e lungaggini: scevro dall’onere di fare lore building, è sicuramente un film più adatto a un pubblico “di passaggio”, con poco da chiedere alla grande narrazione orizzontale.

Il cast regge alla perfezione ruoli difficili, con sbalzi di toni, in termini di serietà, non da poco, e un gusto della mattanza spesso più incattivito di quanto sarebbe legittimo aspettarsi: è tutto tiratissima azione, con un sacco di belle morti, e una sempreverde morale in difesa di diversi e teste matte, volutamente multiuso e interpretabile in ogni maniera. Non ribalta di certo il genere, ma di ribaltamenti se ne sono già visti tanti: non è un nuovo Cabin inthe Woods che manca, ma un nuovo Final Destination. Nel suo piccolo, la trilogia serve allo scopo. Arrivati alla chiusura del cerchio, il terzo capitolo promette, a questo punto, di giocarsi il tutto per tutto produttivo. Il film conclusivo cercherà infatti il tiro da tre punti spostando il racconto indietro fino al 1666, cimentandosi con il folk horror in costume a base di streghe e inquisitori in scia a Michael Reeves – abbandonando così il salvagente dell’amarcord cinefilo per affrontare un sottogenere più ostico e carbonaro. Il rischio di finire in pagliacciata è alto: ma due film passabili su tre è già più di quanto molte altre saghe abbiano potuto permettersi.