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Favolacce

2020
REGIA:
Damiano D'Innocenzo, Fabio D'Innocenzo
CAST:
Elio Germano (Bruno Placido)
Barbara Chichiarelli (Dalila Placido)
Gabriel Montesi (Amelio Guerrini)

Il nostro giudizio

Favolacce è un film del 2020, diretto da Damiano e Fabio D’Innocenzo.

Registi come i fratelli Damiano e Fabio D’Innocenzo portano una ventata d’aria fresca nel cinema d’autore italiano, e sono la dimostrazione che alla lunga il talento, quando c’è, emerge e viene giustamente premiato. Firmandosi non coi nomi singoli ma come “Fratelli D’Innocenzo”, avevano già stupito con l’illuminante esordio La terra dell’abbastanza, vincitore di un Nastro d’argento: il film narrava l’ingresso nel crimine di due amici della periferia romana, ponendosi a metà fra L’odio di Kassovitz, il realismo del primo Pasolini e di Claudio Caligari e il mondo gomorriano. Dunque – a voler essere pignoli – niente di particolarmente nuovo, ma ben diretto e narrato, impregnato di disagio e disperazione, grazie anche a volti per lo più anonimi ma efficaci. Il passo successivo dei Fratelli D’Innocenzo è Favolacce, che consacra la loro maturazione e originalità: una co-produzione più grossa (c’è anche Rai Cinema) fra Italia e Svizzera, vincitore dell’Orso d’argento a Berlino come miglior sceneggiatura e candidato a parecchi Nastri d’argento. Lo stile e la narrazione, già contenuti in nuce nella loro opera prima, maturano notevolmente, e i registi hanno il merito di saper creare qualcosa di nuovo senza però stravolgere il loro sguardo peculiare. Autori anche di soggetto e sceneggiatura, i fratelli ambientano il film ancora nella periferia di Roma, in un quartiere lontano dalla città, e raccontano le vicende intrecciate di alcune famiglie: Bruno (Elio Germano) è sposato con Dalila e ha due figli, bravissimi a scuola ma incapaci di avere dialogo con i genitori; la stessa situazione è vissuta da Pietro, a sua volta sposato e con una figlia; Amelio vive in una sorta di baracca con il figlio introverso; Vilma abita con sua madre ed è incinta del fidanzato; l’anticonformista professor Bernardini insegna agli alunni materie bizzarre che risulteranno molto pericolose.

Favolacce è un dramma familiare volutamente grottesco, quasi sospeso nel tempo e nello spazio eppure terribilmente realistico, una vicenda corale complicatissima e ricca di personaggi, una matassa che la regia è abile nel dipanare conducendo per mano lo spettatore alla scoperta dei protagonisti e del microcosmo in cui vivono. C’è chi ha accostato il film al capolavoro di Ettore Scola Brutti, sporchi e cattivi: e in effetti le similitudini non mancano (la periferia romana, i drammi familiari che si intrecciano, la deformazione bizzarra e grottesca), ma i due registi vanno per la loro strada, senza dover pagare pegno né a Scola né al tanto acclamato Parasite, un altro film al quale Favolacce sembra guardare. Damiano e Fabio D’Innocenzo tornano a dipingere un quadro a tinte fosche della periferia, ma in modo diverso rispetto anche a La terra dell’abbastanza: se là eravamo in quella sorta di nuovo neorealismo che troviamo in opere come Gomorra e Dogman (al quale, non a caso, i due registi hanno collaborato in fase di sceneggiatura), qua l’universo narrato sta a metà fra il crudo realismo e uno stile surreale; come suggerisce il titolo, siamo in una favola dark, dove c’è spazio solo per la solitudine e la disperazione. La visione pessimista del mondo, che già caratterizzava l’opera precedente, torna con preponderanza in questo folle film, ma non solo. Vi subentra una specie di lotta di classe, fra la povertà di alcuni nuclei (quelli di Amelio e Vilma) e un mondo di famiglie piccolo-borghesi, non ricche ma comunque benestanti, in apparenza rispettabili e che abitano in belle villette (Bruno e Pietro). Il disagio serpeggia alacremente in entrambi i ceti sociali: non c’è dialogo fra genitori e figli, il malessere sociale e individuale è sempre pronto a esplodere (vedasi la scena pazzesca in cui Elio Germano picchia selvaggiamente il figlio), nessuno è soddisfatto della propria vita e i ragazzi si ribellano agli adulti (addirittura cercano di costruire alcune bombe per far saltare in aria tutto).

I personaggi sono bizzarri ma al contempo realistici: con l’unica eccezione di Elio Germano, uno fra i migliori attori italiani dei nostri tempi, i Fratelli D’Innocenzo si avvalgono ancora di un cast formato per lo più da volti semi-sconosciuti ma perfetti per i protagonisti. Ci troviamo in un mondo che per certi versi può ricordare la provincia americana aliena dipinta da registi come David Lynch, un piccolo universo chiuso dove può accadere di tutto. Anche la sessualità e la perversione covano nel profondo, e più di una volta compaiono: c’è la procace Vilma, che vorrebbe prostituirsi col ragazzino e gli dà un biscotto bagnato con il latte del suo seno; ci sono i due adolescenti che cercano di fare la loro prima scopata su un prato ma non riescono per l’imbarazzo di lui; ci sono i due genitori che commentano in modo osceno una donna discinta e ciò che le farebbero; e c’è Amelio, che si masturba tranquillamente in giardino ignaro del fatto che il figlio lo stia osservando dalla finestra. Tensione, sessualità, morbosità, violenza: tutte sensazioni onnipresenti in Favolacce, e che – ricollegandosi al tragico racconto iniziale – esploderanno in un finale imprevedibile e di incredibile drammaticità. L’utilizzo di un narratore come voice-over, alcune inquadrature inusuali, una fotografia pastellata e una colonna sonora ricca di mistero contribuiscono ad alimentare il clima sospeso e rarefatto, ma sempre terribilmente reale. “Quanto segue è ispirato a una storia vera. La storia vera è ispirata a una storia falsa. La storia falsa non è molto ispirata.”, afferma il narratore all’inizio: Favolacce è un film d’autore criptico, coraggioso, ermetico, non convenzionale né classificabile in un genere; sicuramente un unicum nel panorama italiano contemporaneo, un’opera che non può lasciare indifferenti.