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Fatale

2020
Titolo Originale:
Fatale
REGIA:
Deon Taylor
CAST:
Hilary Swank (Detective Val Quinlan)
Michael Ealy (Derrick Tyler)
Mike Colter (Rafe Grimes)

Il nostro giudizio

Fatale è un film del 2020, diretto da Deon Taylor.

L’insegnamento ci dice che le donne non dovrebbero essere toccate nemmeno con un fiore. E ci mancherebbe altro! Anche perché, se si ha la sfortuna di imbattersi nella tipa sbagliata, state pur certi che nemmeno una quercia secolare con tanto di fronde e radici sarà sufficiente a difendersi dalla sua ira vendicatrice. Se poi la pulzella in questione è ben equipaggiata con pistola e distintivo, beh, allora la questione si fa decisamente complicata per i poveri maschietti. Ed è appunto questa a grandi linee la brutta situazione nella quale si è andato a cacciare, suo malgrado, il ricco e aitante Derrick Tyler (Michael Ealy), ex stella del basket universitario con una vita apparentemente perfetta che, per fuggire momentaneamente da un matrimonio non certo idilliaco, durante una serata di bagordi in quel di Las Vegas ha la malaugurata idea di concedersi una notte di bollenti spiriti con la misteriosa e conturbante Val (Hilary Swank). Robetta da una botta e via, insomma, con buona pace dei sensi per entrambi e senza alcun tipo d’impegno a lungo termine. Peccato che, dopo essere tornato quatto quatto alla propria disastrata vita coniugale con il peso di un inevitabile senso di colpa, il nostro fedifrago della domenica si troverà a dover fare i conti con le conseguenze delle proprie zozze azioni, nel momento in cui, interpellata la polizia a seguito di un tentativo di aggressione da parte di un non ben identificato malvivente, scoprirà con suo gran terrore che il detective incaricato delle indagini è nientemeno che la sedotta e abbandonata Val, decisa più che mai a rendere la vita di colui che l’ha ignobilmente scaricata un vero inferno, attraverso il potere di un’attrazione che, come ben recita a chiare lettere il titolo stesso, non potrà che essere indubbiamente Fatale.

Non è affatto un mistero come il cinema di Deon Taylor, nonostante la patina del genere, sia sempre stato decisamente militante. Forse meno sfacciato di quello di uno Spike Lee ma egualmente sorretto da una rigida impalcatura ideologica che vede il cattivo uomo bianco stuzzicare e insidiare il povero ma combattivo uomo nero, quest’ultimo chiamato a difendere la propria casa e i propri affetti dalle mille angherie di una società assolutamente priva di eguaglianza. Se però, tolto il chiarissimo messaggio razziale presente in Supremacy, con titoli come Traffik e The Intruder il cineasta era riuscito ad affrontare la scottante questione degli attacchi alla piccola e media borghesia afroamericana confezionando discreti prodotti d’intrattenimento nei quali la pillola veniva indorata con una confezione di solido thriller, in Fatale si assiste purtroppo a un cedimento strutturale tanto della forma quanto del contenuto. Partendo da uno script non particolarmente esaltante di David Loughery, sfacciatamente derivativo nei confronti del ricco filone love revenge movie, Taylor tenta affannosamente d’imbastire un racconto di amore morboso e sadici giochi di rivalsa. Una messa in scena di sicuro mestiere – impreziosita dalla psichedelica fotografia del mitico Dante Spinotti – e uno score decisamente disturbante, per oltre cento minuti di tensione non se ne percepisce nemmeno l’ombra, complice forse una caratterizzazione dei personaggi abbastanza approssimativa e un casting oggettivamente fallato. Se infatti gli occhioni azzurri e il faccino pulito da ragazzino prematuramente invecchiato di Michael Ealy continuano a non convincere sia su grande che su piccolo schermo, la bella e brava Hilary Swank appare decisamente fuori luogo come amante tradita in sapore di vendetta, decisamente più simile a una cazzuta Sarah Connor che non all’innamorata e sciroccata Glenn Close del cult di Adrian Lyne.

Ad è appunto il personaggio femmine ad apparire il vero punto debole di questo Fatale, con un passato di alcolismo e maternità fallita che vorrebbero giustificarne la morbosa attrazione e la conseguente rivalsa nei confronti del masculo oggetto del tradimento ma che finiscono per renderla una semplice e anonima macchina sterminatrice, con la quale appare difficile empatizzare anche indossando gonna e tacchi alti. Nulla a che vedere insomma con l’agguerrita e integerrima tutrice della legge protagonista di Black and Blue, quella vera eroina di colore capace di coniugare in un sol colpo messaggio sociale e pura adrenalina. In questo caso, invece, non appare ben chiaro dove Taylor voglia andare a parare, se sulla sempreverde problematica del #MeToo piuttosto che sull’altrettanto scottante questione del Black Power oppure, molto più semplicemente, volendo confezionare un prodottino di genere senza troppe cerimonie, intriso di una sana commistione di sesso e suspense. Qualunque fosse l’indubbiamente onesta intenzione del nostro regista, va purtroppo preso atto che stavolta la frittata né è uscita parecchio insipida e bruciacchiata, forse per la mancanza di una chiara ricetta così come di ingredienti nutrienti e accuratamente selezionati.