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Fashionista

2016
Titolo Originale:
Fashionista
REGIA:
Simon Rumley
CAST:
Amanda Fuller (April)
Ethan Embry (Eric)
Eric Balfour (Randall)

Il nostro giudizio

Fashionista è un film del 2016, diretto da Simon Rumley

Quello di Simon Rumley è uno dei nomi più interessanti in circolazione, coraggioso nel suo non ancorarsi mai a un genere, spaziando in territori assai diversi tra loro, seppur con tematiche ricorrenti: prima fra tutte quella della follia o, in senso più generale, del disturbo interiore. Fashionista, che ha visto Rumley vincitore del premio della critica come miglior regista di lungometraggio al Ravenna Nightmare Film Fest edizione 2017 è, in prima battuta, inconsapevole oggetto del desiderio: realizzato nel 2016 e non ancora distribuito, attesissimo da una fanbase consolidata, narra di feticismo e dipendenza. Supportato da un cast perfetto, in cui spicca un’eccellente Amanda Fuller, già vista all’opera con Rumley nel potente Red, White and Blue (2010), che con questa pellicola condivide anche la location texana, Fashionista mette in scena non solo semplici personaggi ma, in primis, le rispettive parafilie.

Fashionista - 1

April (Fuller), ben più di una semplice fashion-addicted, vera feticista dei vestiti e dei tessuti che sniffa di nascosto nei momenti di crisi; il marito Eric (Ethan Embry), proprietario di un negozio di abiti usati e affetto da un disturbo di accumulo compulsivo; Randall (Eric Balfour), tanto fascinoso quanto viscido e ambiguo, anch’egli feticista di abiti femminili con cui veste April come se fosse una bambola di carne. Infine Hank (Devin Bonnée, già protagonista in Johnny Frank Garrett’s Last Word), homeless dalla valenza salvifica. E, inoltre, una figura in apparenza senza nome, interpretata da Alex Essoe (Starry Eyes), al centro del finale ambiguo, che si dona alla soggettività del singolo spettatore. April vive col marito in una casa colma di vestiti, montagne di abiti e oggetti in cui la coppia, letteralmente, annaspa; Eric è dominato dal fetish del possesso, che siano indumenti, denaro, donne o la propria moglie, poco importa. April è una vera e propria tossica dei vestiti ma, in Fashionista, tutti i personaggi dipendono – disperatamente – da qualcosa. Non vi è mai gioia o appagamento, le compulsioni non possono, per loro natura, portare soddisfazione; anche il sesso è dipinto in modo angoscioso, supportato da uno score che va sempre e comunque di pari passo con le immagini.

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Lo stile narrativo è fatto di flashback e flashforward continui: ogni sequenza non è mai autoconclusiva, bensì viene portata avanti, inframmezzata alle altre, con un montaggio (firmato da Tom Sainty) che non è eccessivo definire esemplare, creando uno specchio perfetto delle schizofrenie dei protagonisti. Lo stesso discorso vale per le unità spazio-temporali: in casa di April ed Eric pare di essere negli anni ’70, la donna veste in stile anni ’50, mentre le scene nella villa di Randall, freddissima reggia high-tech, manifestano una contemporaneità algida e tagliente. «Inspired by the films of Nicolas Roeg», recita la scritta sul finale: Rumley ha collaborato col grande cineasta per Crowhurst (2017), di cui Roeg è produttore esecutivo e i rimandi al suo cinema impregnano Fashionista senza, tuttavia, mai togliergli la sua forte identità. Il ruolo della musica è fondamentale: suono e immagini sono inscindibili, drogate l’una dell’altra. La fotografia è cangiante e schizoide, firmata da Milton Kam, collaboratore abituale di Rumley che contribuisce a rendere unica la cifra stilistica del regista britannico, qui a produzione USA. Fashionista è forse la punta più elevata di una cinematografia eccellente, ancora poco conosciuta ai più e mai troppo apprezzata: una sorta di patinatissimo Cristiana F. in cui gli abiti prendono il posto delle siringhe. Da recuperare senza indugi.