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Fall

2022
REGIA:
Scott Mann
CAST:
Grace Caroline Currey (Becky Madison)
Virginia Gardner (Shiloh Hunter)
Mason Gooding (Danyal ‘Dan’ Zaffar)

Il nostro giudizio

Fall è un film del 2022 diretto da Scott Mann.

Fall fa parte di quei film d’azione psicologicamente diretti verso la suspence che scaturiscono nello spettatore la stessa botta adrenalinica e sofferente di un completo film horror. Se di paure si suole parlare, è anche vero che ognuno di noi ne ha di molteplici, peculiari e, a volte, incomprensibili. Io, per esempio, sono terrorizzata e schifata dalle piume di qualsiasi forma e dimensione (anche quelle dei cuscini e dei piumoni per intendersi). Scopro essere una fobia diagnostica: Pteronofobia. Fall innesca indubbiamente la primordiale fobia delle altezze, del vuoto, del mancamento, della caduta, appunto. Una paura atavica che molti immaginano germinare dall’atto fisico del venire al mondo. Cadere vorticosamente in un buco nero che si chiama vita. In qualche modo però, il film specifica anche altro. Interessante la scelta di non usare l’articolo davanti al sostantivo del titolo, permettendo di fatto l’interpretazione sia linguista che semantica dell’intenzione: Caduta? Cado? Cadiamo? Il declino?

La vicenda inizia con la solita sequenza incipit che descrive, all’unisono, le tipicità dei personaggi, il contesto narrativo, la tragedia che farà da motore allo svolgimento e l’entità emotiva del film. La colonna sonora, per nulla sgradevole, si insinua come un leitmotiv narrativo, che segue, nei suoi arrangiamenti, le vicissitudini delle protagoniste. Come per l’azzeccatissimo The Descent (Neil Marshall, 2005), le eroine non hanno nulla di convenzionalmente “rivendicativo” e la descrizione delle loro personalità sono sì funzionali alla vicenda, ma anche credibili. Becky (già vista in Annabelle 2: Creation e Shazam) è schiava di un trauma drammatico. Perde ciò che ha di più caro al mondo, l’amore; perde altresì la fiducia in sé stessa e la voglia di andare avanti. Come in The Descent (e continuo a citarlo perché i due film sono speculari sotto molteplici aspetti), sarà l’amica intraprendente e forse troppo euforicamente caricata (Virginia Gardner), testimone iniziale della tragedia, migliore amica e subdolamente traditrice, a scuoterla verso la somma redenzione.

Le due decidono di scalare la vetta dei nostri giorni, l’Everest dell’immaginario collettivo del successo contemporaneo: la più alta antenna di trasmissione telefonica statunitense. Immagine che rappresenta il simbolo del successo dell’uomo contemporaneo; di chi oggi sogna di essere Chiara Ferragni e ignora Marie Curie. L’amica stessa vanta milioni di follower che le saranno inutili nel momento del bisogno mentre i loro dispositivi elettronici si riveleranno inutilizzabili pur trovandosi allo zenit del fasullo scibile antropico. Un colpo di scena inaspettato e riuscito inoltre, funge da epifania sublimante per la protagonista e per lo spettatore rappresentativo della collettività descritta: un’imparzialità divina governata da leggi ferree ma giuste. Attaccate da rapaci, come fu l’eroe Prometeo che rubò il fuoco agli dei, le due lotteranno per la sopravvivenza in maniera viscerale. L’intestino, le interiora, l’utero, quello materno, appunto, di una donna sventrata, di un cesareo primordiale dal quale nasce una nuova vita, saranno i soli elementi a salvare la protagonista, che, come a un neonato sopravvissuto, viene concessa l’opportunità di redimersi e patteggiare con la propria mortalità.