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Errementari – Il fabbro e il diavolo

2017
Titolo Originale:
Errementari
REGIA:
Paul Urkijo Alijo
CAST:
Kandido Uranga (Patxi)
Uma Bracaglia (Usue)
Eneko Sagardoy (Sartael)

Il nostro giudizio

Errementari – Il fabbro e il diavolo è un film del 2017, diretto da Paul Urkijo Alijo

 Il folklore congela il tempo nel passato, non permette alcun salto mentale in avanti e racconta ciò che eravamo, ciò che immaginavamo. Nel cinema odierno questo tipo di narrazione è sempre più rara; son ben lontani i tempi in cui Mario Bava faceva risorgere l’antico e le sue atmosfere sinistre. Errementari è un piccolo, consapevolmente modesto ma anche incredibile esemplare. Distribuito da Netflix ed ambientato in quei Paesi Baschi che noi conosciamo probabilmente solo per la ETA, il film non si pone l’obiettivo di essere uno “sguardo oltre”. Seppur prodotto da Álex de la Iglesia, uno che questo modus narrandi lo conosce fin troppo bene, il primo lungometraggio del nativo basco Paul Urkijo Alijo è una favola in tutte le sue sfaccettature. Ispirata alla leggenda tradizionale Paxti errmentari, si svolge nella prima metà dell’Ottocento e narra la storia di Patxi (Kandido Uranga), misterioso e violento fabbro che da anni si è ormai allontanato dalla civiltà, costruendo una vera e propria fortezza intorno alla sua abitazione. L’ingresso fortuito di Usue (Uma Bracaglia), una piccola orfana del paese, porterà però a galla tutti i segreti che Patxi ha tenuto gelosamente nascosti all’interno della sua fucina.

Errementari potrebbe essere considerato, nella sua struttura narrativa, una favola nera, anche se al suo interno vi è un continuo alternarsi di registri. Le atmosfere, sin dal prologo, sono contraddistinte da un sottofondo orrorifico, si veda ad esempio i paesaggi nebbiosi in cui si ha un primo impatto col personaggio di Patxi e il bosco che dal paese conduce alla fortezza del fabbro. La diegesi della prima parte è altrettanto convincente nell’inquadrare quest’ultimo come il villain della storia, anche se sarebbe meglio chiamare le cose con il loro vero nome: nel villaggio lui è considerato la Strega, l’Orco che rapisce i bambini, in poche parole il Diavolo. Non è forse un principio imprescindibile della favola l’obbligo di non giudicare dalle apparenze? Ed ecco che il primo colpo di scena ci restituisce una verità più sconcertante ma non banale: il Diavolo esiste ma non è Patxi, il Diavolo esiste ma non è come ce lo aspetteremmo. Il vertice del triangolo è rappresentato poi dalla piccola Usue, l’orfana innocente e allo stesso tempo ribelle che verrà suo malgrado coinvolta in questo scontro, tanto da assurgere al ruolo di giudice.

In un contorno di personaggi inetti, tra cui spicca un prete stolto e in malafede, i protagonisti emergono in tutte le loro fragilità, raccontando un’umanità (e anche una “demonità”) genuina, debole, scevra di qualsiasi dicotomia tra Bene e Male. Proprio questa connivenza è forse la morale più importante della storia, una morale che distrugge anche quella religiosa, unico vero bersaglio di questo film. Ad un mondo che non riesce a fare altro che distinguere tra santi e peccatori, tra angeli e demoni, Errementari  oppone l’altruismo, lo spirito di sacrificio e la possibilità di redenzione di chi sa veramente in cuor suo quali siano state le sue colpe. Si risolve così un film che, dal basso, riesce a compensare la scarsezza dei mezzi con una sceneggiatura ed una messa in scena esemplari. Gli effetti speciali del finale sono rivedibili e probabilmente non necessari, forse si sarebbe potuto osare di più sul sangue, ma siamo comunque di fronte ad un ottimo prodotto capace d’intrattenere a trecentosessanta gradi, dove la favola subentra e si scosta seguendo l’interesse del racconto.