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EO

2022
Titolo Originale:
Hi-han
REGIA:
Jerzy Skolimowski
CAST:
Sandra Drzymalska (Kasandra)
Lorenzo Zurzolo (Vito)
Mateusz Kościukiewicz (Matteo)

Il nostro giudizio

EO è un film del 2022, diretto da Jerzy Skolimowski.

EO è un’onomatopea. Una possibile partenza per entrare nell’ultimo film di Jerzy Skolimowski, che rifà Au Hasard Balthazar di Robert Bresson e lo ricuce sul presente. Intanto sono usciti due fondamentali film animali negli ultimi anni: uno è Gunda di Kossakovsky, che segue la vita della scrofa del titolo sino allo struggente finale con la sottrazione dei cuccioli; l’altro è Cow, il documentario di Andrea Arnold sulla mucca Luma, dai pascoli verdi fino al parto indotto e all’imperativo inesorabile di produrre latte, in marcia verso la fine. EO è il terzo. Se i primi sono due doc, quello di Skolimowski è un film di finzione che principia appunto da un verso, il nome del protagonista: l’asinello EO che all’inizio è costretto a lasciare il suo circo dove, seppure nella società dello spettacolo, si trova bene e soprattutto è amato, accarezzato e baciato dalla bella Kasandra (Sandra Drzymalska). Il fuori sarà molto diverso. In premessa è indispensabile chiarire il rapporto tra EO e il capolavoro di Bresson del 1966, evitando paragoni fuori luogo: il film è un omaggio, un inchino riverente che cita apertamente l’opera a cui si ispira, visto che Skolimowski parla di Balthazar non solo come uno dei film preferiti, ma anche come una sorgente del suo cinema. Il debito viene dunque pagato in anticipo.

Detto questo, inizia il pellegrinaggio di EO in giro per l’Europa, un continente che non è allo sbando, ma più precisamente risulta già fallito, morto, condannato. Che l’uomo sia il peggiore degli animali è ormai perfino una banalità, ma la bestia lo verifica sulla sua pelle svolgendo l’on the road su zoccoli e mezzi di fortuna. Del resto Skolimowski fa cinema di selvaggio movimento, basti pensare a Essential Killing oppure a 11 Minuti, che era imperniato proprio su una porzione di tempo e su un moto. Anche EO quindi si muove, compie un percorso. Si imbatte tra gli altri in tifosi di calcio che prima lo adottano, poi dopo una rissa con gli avversari lo fanno brutalmente picchiare. A dir la verità a tratti c’è anche uno spiraglio, ossia degli aiutanti, alleati che provano a indirizzare la parabola dell’asino su un binario positivo, come la ragazza iniziale e coloro che lo raccolgono dopo le gravi ferite curandolo nel senso etimologico, cioè prendendosi cura di lui. EO sa anche ricordare, in flashback, ha una memoria, emozioni, quindi un pensiero. Così registra il grottesco delle terre che calpesta, l’assurdo che esplode nella sezione italiana affidata al vizio bizantino di Lorenzo Zurzolo e al freddo cinismo di Isabelle Huppert.

Il regista polacco, oggi 84 anni, è da sempre visionario: inscena il racconto attraverso una dialettica tra soggettive e oggettive, in altri termini ci fa vedere dall’occhio dell’asino alternato ai quadri del mondo intorno. Ma soprattutto costruisce squarci visivi di grande potenza immaginifica, che malgrado l’età (o grazie a essa) sono nutriti del contemporaneo, del cinema figlio della videoarte (la sequenza di EO in rosso) e del magistero pittorico dei grandi compositori dell’inquadratura, tipo Sokurov. Guardate la ripresa dell’attraversamento del ponte da parte dell’asino, che viene inchiodato al centro in tutta la sua solitudine, quasi romantica. La fine è nota, non serve spiegare. C’è un dubbio che aleggia e aleggerà intorno al film: era davvero necessario? Non potevamo rivedere Bresson? Ecco, se il cinema è questione di necessità probabilmente EO è pleonastico, già detto, superfluo. Ma per fortuna non lo è. Si gioca anche e soprattutto sull’immagine. E qui Skolimowski è maestoso: un moralista apocalittico che per interposto asino si muove nell’Europa in rovine, alla fine del mondo, quello di EO ma anche il nostro. Un sublime film inutile, come un raglio nel buio.