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Elysium

2013
Titolo Originale:
Elysium
REGIA:
Neill Blomkamp
CAST:
Matt Damon (Max Da Costa)
Jodie Foster (Jessica Delacourt)
Alice Braga (Frey Santiago)

Il nostro giudizio

Elysium è un film del 2013, diretto da Neill Blomkamp.

Nell’anno 2154, le classi ricche vivono su una stazione spaziale artificiale, mentre il resto della popolazione risiede sulla Terra ormai in rovina. Un uomo intraprende una missione che potrebbe ristabilire l’uguaglianza sui due mondi polarizzati.

Nel 2009, District 9 ci aveva rivelato Neill Blomkamp, regista e sceneggiatore capace di fondere action digitale e fanta politica con quel pizzico di freschezza che spesso manca alla sci-fi odierna. Inevitabile, quindi, l’attesa per una opera seconda nella quale buona parte del team dell’esordio (montaggio, fotografia, scenografia e l’attore protagonista, qui passato dalla parte dei cattivi) tornava insieme per raccontare una nuova allegoria.

Almeno nelle intenzioni, visto che la moltiplicazione del budget ha spinto verso la realizzazione di una fantasia futuristica dalle ottime scenografie (non solo digitali) ma troppo condizionata dai confronti: con i riferimenti espliciti (il designer e artista concettuale Syd Mead) e involontari, ma soprattutto con quel District 9 in cui Blomkamp sembra aver concentrato la critica sociale più riuscita.

Elysium punta molto sull’aspetto visivo, finendo per rievocare se stesso e certe disascaliche metafore. Il senso di provocazione passa in secondo piano, paradossalmente proprio infarcendo la vicenda di un paradiso degli eletti, di una politica sanitaria volta all’autoconservazione di un numero chiuso, di scafisti spaziali e di forze dell’ordine violente e corrotte. A favore di una maggior attenzione ai personaggi. Eppure, nonostante anche la prova di Matt Damon sia da non disdegnare (anche se resta la curiosità dell’effetto che avrebbe fatto vedere la prima scelta Eminem come protagonista) e l’accento francese di Jodie Foster in originale sia sorprendente, non si percepisce un reale scavo o approfondimento.

Anche i loro drammi sono troppo “fotografati”, in una lunga (forse eccessivamente) carrellata di situazioni, dolori, speranze e scene a effetto‚ con le ovvie difficoltà per lo sviluppo della narrazione, condizionata da necessità e strappi.