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El Conde

2023
REGIA:
Pablo Larraín
CAST:
Jaime Vadell (Augusto Pinochet)
Gloria Münchmeyer (Lucía Hiriart)

Il nostro giudizio

El Conde è un film del 2023 diretto da Pablo Larraín.

La scena in cui Lady Diana torna nella sua casa d’infanzia in Spencer (2019) appariva atipica nella filmografia di Pablo Larraín. Qui l’interiore del personaggio viene esteriorizzato attraverso una regia libera(ta) dal rigore elegante delle inquadrature Windsor, più legate alle precedenti opere sulle strutture di potere. In parecchi hanno definito Spencer un horror da palazzo, forse pure per il fantasma che girava per le stanze nelle visioni di Diana. La verità è che con Spencer Larraín stava probabilmente prendendo le misure per un’opera molto più voluta, in cui l’assodata affinità con il biopic flirta con il genere: ecco El Conde, decimo lungometraggio del regista cileno presentato all’80 Mostra del Cinema di Venezia. Scomodando più di una volta Dreyer – anche nella scelta di Paula Luchsinger come protagonista femminile, che ricorda immediatamente la Giovanna d’Arco del maestro danese – Larraín racconta di Pinochet raccontando di un vampiro bicentenario, ormai privo di voglia di vivere e attorniato da una moglie infedele e affamata di vita e cinque figli che lo torchiano per l’eredità. In questa mise dominata dal primo bianco e nero del regista viene introdotta l’antagonista, la suora esorcista Carmen. La donna è la forza centrifuga e centripeta dell’azione: si introduce infatti nella famiglia del generale per sistemare le questioni ereditarie, ma in segreto vuole impalare il dittatore vampiro. Questo finisce per innamorarsi di lei, ritrovando l’energia per rimanere in vita.

La sceneggiatura quantomeno bizzarra considerando i passati trascorsi del cileno sembra incarnarsi perfettamente nell’ultracentenario vampiro: dietro a una regia placida in cui si arriva poco alla volta verso punti focali si nasconde – più o meno velatamente – il volto feroce del film che sferza il governo di Pinochet e che colpisce in maniera ancor più tagliente il Cile post-dittatura. Se demonizzare un dittatore può essere un cul-de-sac in cui l’opera sembra cadere nei primi minuti, la scomposizione del male e l’elemento assurdo danno spessore alla metafora, rendendo il lungo una commedia nera piuttosto cinica, oltre che un monito allegorico sul perché la storia debba necessariamente ripetersi, come Larraín stesso ha dichiarato a Venezia. Il cileno non lascia scampo a nessuno, andando a colpire tutte le istituzioni e rendendo El Conde una summa – o un’evoluzione – del suo cinema politico precedente. Larraín dimostra ancora una volta di essere un cineasta audace, che non ha paura di rischiare sperimentando nuove strutture o ibridazioni tra film d’autore e genere, tendenza che già altri cineasti contemporanei stanno seguendo (basti pensare a Guadagnino con Bones and All, anch’esso in concorso a Venezia nel 2021). Il regista di Jackie però rimane anche saldo su un cinema personale e fortemente politico, reinserendosi nell’ansa dei suoi primi lunghi che si struggono per raccontare la storia del Cile e le sue problematiche, tra cui Post Mortem (2010), No – I giorni dell’arcobaleno (2012) o Neruda (2016).