Featured Image

Eat Me

2018
REGIA:
Adrian Cruz
CAST:
Michael Shamus Wiles (Frank)
Brad Carter (Bob)
Jacqueline Wright (Tommy)

Il nostro giudizio

Eat Me è un film del 2018, diretto da Adrian Cruz.

Nella sezione Fuori Concorso del festival di Venezia dello scorso anno è stata presentata ufficialmente una nuova versione di Irréversible, film-scandalo con cui nel 2002 il francese Gaspar Noé si era conquistato a livello internazionale la fama di provocatore cinematografico. Nella riedizione, intitolata per l’occasione Inversion intégrale, gli eventi che compongono il racconto narrato al contrario nella versione originale, sono stati rimontati cronologicamente: un modo, a detta di Noé, per meglio evidenziare gli snodi fondamentali della trama e rivitalizzare la visione dell’autore. Lasciando da parte l’utilità o meno dell’operazione, quella del nuovo cut era soprattutto un’occasione per rivalutare l’effettivo valore contenutistico (secondo chi scrive pressoché inesistente) di una pellicola che, al netto di un’evidente tendenza al virtuosismo autoriale, è ricordata soprattutto per la violenza efferata ed esasperata del contenuto (che ha il suo culmine nell’ignobile scena di violenza sessuale ai danni della Bellucci).

È un dilemma, quello sulla presunta valenza di questo tipo di cinema, che non riguarda solo l’opera di Noé, ma che accomuna una schiera interminabile di produzioni, grandi e piccole, costruite a tavolino per stuzzicare la curiosità morbosa degli spettatori più tenaci e indisporre quella dei critici benpensanti. Eat Me, esordio alla regia dell’americano Adrian Cruz su una pièce di Jacqueline Wright (andata in scena a Los Angeles nel 2005), fa parte di questa “aggraziata” categoria cinematografica. Anche qui il tema della carneficina, come e più che in Irréversible, è quello delicatissimo della violenza a sfondo sessuale, riproposta in questo caso nella cornice di un home invasion movie fra i più perversi: la protagonista della vicenda (interpretata dalla stessa Wright), rimasta incosciente dopo un fallito tentativo di suicidio, si trova la casa invasa da un malintenzionato con cui costruisce gradualmente un rapporto di morbosa confidenza. La premessa è sufficientemente offensiva, l’indignazione di una buona fetta del pubblico garantita.

Il gioco fra provocazione e autorialità si svolge in questo caso nell’ambito di una narrazione teatraleggiante, ereditata presumibilmente dalla pièce d’origine. Se la tersa drammaturgia da palcoscenico sembra orientare il racconto verso un sofisticato studio inverso sulla sindrome di Stoccolma, il ricorso alla violenza ostentata e didascalica tradisce spesso e volentieri le intenzioni banalmente provocatorie dei suoi autori. Fare provocazioni al cinema, d’altronde, è diverso dal farlo a teatro, se non altro perché ci vuole una certa personalità registica per rendere interessante un film tutto ambientato nella stessa location. Ed è qui che Eat Me incespica davvero, perché mentre Noé aveva dalla sua una buona dose di narcisistico compiacimento narrativo a rendere interessante Irréversible, la modesta regia di Cruz, che non brilla certo per inventività, mette in scena l’intreccio nella maniera più blanda possibile, esasperando la violenza gratuita del racconto e, al contempo, evidenziandone la banalità. Un peccato perché, al di là della tematica controversa, le due performance principali sono decisamente sopra la media e la dinamica psicologica al centro del film ben congegnata. Il provocatore cinematografico, però, bisogna saperlo fare: spiace quasi dirlo, ma di Gaspar Noé ce ne sono pochi.