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È stata la mano di Dio

2020
REGIA:
Paolo Sorrentino
CAST:
Filippo Scotti (Fabietto Schisa)
Toni Servillo (Saverio Schisa)
Teresa Saponangelo (Maria Schisa)

Il nostro giudizio

È stata la mano di Dio è un film del 2021, diretto da Paolo Sorrentino.

Fabietto Schisa (interpretato da Filippo Scotti) ha 17 anni, vive a Napoli in un quartiere borghese, con il padre Saverio (Toni Servillo), la madre Maria (Teresa Saponangelo), un fratello e una sorella maggiori di lui. Fabietto è il classico adolescente di poche parole, walkman nella tasca dei jeans stinti e cuffie incollate alle orecchie. Attraverso i suoi occhi entriamo nella vita quotidiana di una famiglia degli Anni Ottanta, nella città partenopea che crede nei miracoli di San Gennaro e nel grande riscatto nazionale che ha un nome solo: Diego Armando Maradona. Fabietto, in realtà, è Paolo Sorrentino, il regista premio Oscar per La grande bellezza, che alla Mostra del cinema di Venezia presenta in concorso il suo È stata la mano di Dio. In questo suo ultimo film, infatti, Sorrentino racconta una parte di sé, della sua gioventù, dei genitori persi quando era ancora un ragazzino, della sua amatissima Napoli che qui raffigura con il suo magistrale stile, spendibilissimo all’estero per rappresentare quell’Italia che tanto piace agli stranieri (e che forse lo porterà alla candidatura di un secondo Oscar).

Il titolo, È stata la mano di Dio, rimanda al goal clamoroso segnato di mano dal pibe de oro nei quarti di finale Argentina-Inghilterra dei Mondiali del 1986. Ma anche alla salvezza di Fabietto che, per seguire la partita Napoli-Empoli decide di non andare con i genitori nella nuova casa di montagna, a Roccaraso. Lì, la madre e il padre moriranno tragicamente per una fuga di ossido di carbonio. Da quel giorno, e da quel momento, Fabietto diventa Fabio forzatamente adulto, e il film cambia completamente registro. Dalle lunghe tavolate sotto gli alberi, le gite in mare tutti insieme sul gozzo, i personaggi che ci hanno fatto sorridere e ridere con il loro essere sconclusionati all’Amarcord di Federico Fellini, passiamo al mal di vivere in tutta la sua drammaticità. Dalla triste iniziazione al sesso di Fabio con l’altezzosa baronessa vicina di casa ultrasettantenne, alla separazione a Stroboli dal fratello Marchino, dalla conclamata follia della zia Patrizia (Luisa Ranieri, qui più sensuale che mai) che finisce in manicomio, all’incontro provvidenziale con il regista Antonio Capuano, inizialmente interpretato da un attore ma che poi apparirà nel film di persona e darà consigli di vita e di cinema al giovane orfano.

Fabio, infatti, che ha visto sì e no tre o quattro film, capisce che la sua aspirazione è quella di diventare un regista, di raccontare storie che rappresentano la realtà ma al tempo stesso la rendono meno amara. I detrattori di Sorrentino avranno da ridire sul manierismo furbo del regista che s’ispira anche questa volta a Fellini e strizza l’occhio alla commedia italiana. Personalmente, mi viene da dire: magari ce ne fossero altri che sanno ispirarsi tanto bene al grande maestro Fellini. Aggiungo che in questo film si sente che il regista si lascia  travolgere da un flusso continuo di emozioni e travolge anche noi spettatori. E mette da parte ogni lezione di stile. Stile, peraltro, apprezzato in tutto il mondo. È stata la mano di Dio ha ottenuto l’applauso più lungo del pubblico del Lido di Venezia. Molti sono usciti pensando “Peccato che sia finito”. E tra questi c’ero anch’io. Il film uscirà nelle sale italiane in novembre e verrà tramesso su Netflix il 15 dicembre.