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Due cuori, una cappella

1975
Titolo Originale:
Due cuori, una cappella
REGIA:
Maurizio Lucidi
CAST:
Renato Pozzetto (Aristide Cacciamani)
Agostina Belli (Claudia Giliberti)
Aldo Maccione (Victor)

Il nostro giudizio

Due cuori, una cappella è un film del 1975, diretto da Maurizio Lucidi

Dopo il battesimo di fuoco di Per amare Ofelia, che ha il merito di aver dato una rinfrescata alla commedia italiana del tempo, Renato Pozzetto definisce sempre di più la traduzione sul grande schermo della propria peculiare vena comica. Adotta una sceneggiatura, una commedia degli inganni firmata da Nicola Badalucco, e la infarcisce di dialoghi stranianti e surreali con l’aiuto del cantautore Enzo Jannacci, compagno di cabaret e autore dei programmi televisivi e delle canzoni del duo comico Cochi e Renato. Non è quindi un caso se la particolare e stravagante comicità, che sui piccoli schermi della RAI aveva rotto la fissità degli schemi comici imperanti, sia più riconoscibile in Due cuori, una cappella. Pozzetto interpreta Aristide Cacciamani, un modificatore di apparecchi meccanici allo scopo di fregare il prossimo, fresco di lutto per la morte della madre usuraia. La “cappella” del titolo, a scanso di equivoci, è il loculo dove lei si fa tumulare (insieme ai gioielli di famiglia) e che diventa il luogo di incontro dei due cuori.

Uno, ovviamente, è il Cacciamani, rimasto succubo della madre che, anche dopo la morte, lo perseguita con la sua raccomandazione di stare lontano dalle donne, rovinandogli di fatto il rapporto con l’altro sesso. L’altro è Claudia, giovane e avvenente vedova, in cerca di qualcuno che la possa tirare fuori dalla propria vita solitaria. Il Cacciamani se ne innamora – e non potrebbe essere altrimenti, se ci si trova di fronte le delicate fattezze di Agostina Belli, all’apice della notorietà con il successo di L’ultima neve di primavera – e la conquista portandola a fare un pic-nic al cimitero. I guai, da copione, arriveranno da lì a poco, con il redivivo marito di Claudia, Aldo Maccione, che si presenta in casa, per pretendere ogni diritto su di lei, dopo essere uscito dal carcere di Marsiglia (un tipo di personaggio che prefigura già moltissimo il Pedretti di Sono fotogenico).

Per poter continuare la loro relazione, la moglie fedifraga e l’amante dovranno aiutarlo in un sequestro con riscatto di minore. Ma il personaggio lunare di Pozzetto non cade nella trappola ordita dalla coppia. Le gag, le idee, le battute sono a getto continuo, inarrestabile e non si può fare a meno di ricordare, una tra tante, la ricetta dello “sformato di melanzane alla Claudio Baglioni” («Sa come si prepara? Si prende una porzione di pizza, la si lascia coinvolgere venti giorno a bordo dell’Amerigo Vespucci…»). Cominciano a comparire attori e caratteristi che saranno sempre più presenti nella filmografia di Pozzetto (e non solo in quella), come il semi-esordiente Massimo Boldi. Nel finale c’è spazio per un cammeo di Ursula Andress, in quel periodo impegnata a lavorare in Italia con Fernando di Leo e Nello Rossati, nei panni scosciati di se stessa.