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Dread

2009
Titolo Originale:
Dread
REGIA:
Anthony DiBlasi
CAST:
Jackson Rathbone
Shaun Evans
Hanne Steen

Il nostro giudizio

Anthony DiBlasi dirige Dread, un horror non banale sulle paure ancestrali più nascoste nelle profondità di ciascuno di noi.

«… Vivere con la consapevolezza che la causa della tua paura più grande può tornare in qualsiasi momento». Il fulcro attorno a cui ruota il film di Anthony DiBlasi, è racchiuso nella frase appena citata, tratta dal film stesso. Potrebbe risultare più facile considerare il termine “paura” come parola chiave dell’intera vicenda vuoi perché è un concetto esplicito e significativo, vuoi perché da una pellicola di genere quello che ci si aspetta di provare è proprio “paura”, il brivido tanto agognato. In realtà, per carpire meglio l’essenza di Dread si deve puntare l’attenzione su un altro vocabolo: “consapevolezza”. Un individuo consapevole, come recita il dizionario, è “pienamente informato” di ciò che sta accadendo. La consapevolezza di certe azioni è fondamentale nella vita di tutti i giorni. Ma cosa vuol dire essere consapevoli che la paura sta per tornare? E’ qualcosa di terribile. Che il più grande incubo personale stia per materializzarsi da un momento all’altro è una sensazione che nessun essere umano vorrebbe provare.

È questo il gioco che uno dei tre ragazzi protagonisti svolge ai danni di ignare persone, chiamate a partecipare a uno studio psicologico sulle paure più remote di cui hanno ricordo e che hanno influenzato la loro vita. A seconda della loro risposta avranno a che fare con una sorta di “contrappasso dantesco” dell’horror, in cui si troveranno ad affrontare prove strettamente legate ai loro timori più intimi. Ed ecco che il concetto di consapevolezza torna a galla: i malcapitati saranno (più o meno) consapevoli delle “prove” cui dovranno far fronte. Esperienze che metteranno a dura prova i sensi di chi sta osservando la scena comodamente seduto in poltrona. E a essere coinvolti in questo macabro e psicolabile gioco, saranno i protagonisti stessi che si accorgeranno di come uno di loro sia disposto a superare qualsiasi limite pur di raggiungere il proprio scopo. Anche il più malvagio, però, nasconde segreti pronti a colpirlo nel profondo.

DiBlasi è molto bravo a coinvolgere lo spettatore in un vortice di terrore psicologico con una regia interessante, che utilizza inquadrature ben congegnate per far risaltare particolari angoscianti e morbosi. Un esempio su tutti è quello della telecamera posta sull’ascia usata da un serial killer, in un flashback che illustra l’infanzia di un protagonista. Un effetto molto riuscito. L’utilizzo di un’atmosfera sempre buia e cupa aiuta poi il regista a insinuarsi nei caratteri dei diversi personaggi e l’ausilio della telecamera a mano usata dai tre protagonisti per i loro studi accentua questo aspetto. E, nonostante il film sia giocato molto sul fattore psicologico, anche gli amanti del gore non rimarranno delusi. Da sottolineare la bravura degli attori principali, soprattutto di Shaun Evans che dà vita a un personaggio decisamente sadico ma che in alcuni momenti “intenerisce” lo spettatore che si immedesima in lui, venendo a conoscenza del suo terribile passato. Last but not least è d’obbligo ricordare colui che ha ispirato questa storia malata, non propriamente legata al genere dei cosiddetti torture porn ma che ci si avvicina prepotentemente: il grande Clive Barker, autore e regista di Hellraiser, che nel lontano 1984 pubblicò questo racconto nel secondo volume di Barker’s Book of Blood. Con un autore di questo calibro, il terrore è assicurato.