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Downhill

2016
Titolo Originale:
Downhill
REGIA:
Patricio Valladares
CAST:
Natalie Burn
Bryce Draper
Ariel Levy

Il nostro giudizio

Downhill è un film del 2016, diretto da Patricio Valladares

Il regista cileno Patricio Valladares (Dirty Love, Hidden in the woods, Toro Loco Sangriento) torna a esplorare l’orrore più viscerale con Downhill (2016), presentato al NIFF di Neuchâtel e altri importanti festival di settore. Valladares abbandona quella narrazione ed estetica pulp/grindhouse tipica dei film precedenti e abbraccia un tipo di horror più “all’americana”, senza però trascurare un tocco personale e il gusto per l’esagerazione sanguinaria. Downhill è orgogliosamente un “B-movie” di puro intrattenimento, che trae ispirazione dalle opere più differenti e le mescola in maniera imprevedibile, sceneggiato da Barry Keating sul soggetto di Valladares. Joe e Stephanie (Bryce Draper e Natalie Burn) sono una coppia di ciclisti chiamati in Cile da un amico che li coinvolge insieme alla compagna in una corsa in bicicletta nella foresta. Dopo essere stati accolti minacciosamente da alcuni loschi abitanti, il gruppo parte per la scampagnata, che si trasforma presto in un incubo quando soccorrono un uomo dal corpo orribilmente sfigurato. Presto intuiscono che la causa è un misterioso e contagioso virus, ma non è l’unico pericolo, visto che i quattro vengono inseguiti e catturati dai crudeli abitanti che avevano incontrato all’inizio e che sono sulle tracce del fuggitivo: proprio loro, con alcuni riti oscuri, sono la causa di tutto.

Downhill è un film che si nutre di cinema, horror e non solo: nella premessa iniziale, l’occhio di chi scrive nota una strizzata a Un tranquillo weekend di paura – i turisti accolti dai nativi ostili e pronti a tuffarsi nella natura selvaggia, la comunità montanara che tutela i suoi segreti con la violenza. La storia ci impiega forse un po’ troppo a entrare nel vivo, calcolando che il film dura 80 minuti circa, con il prologo introduttivo sull’incidente accaduto tempo prima – e che non influirà sul corpus della vicenda – e una narrazione che sembra andare un po’ per i fatti suoi. Ad ogni modo, la suspense non manca anche se è inizialmente dosata: l’incipit in flashforward sul rito diabolico, il primo incontro nel bar con i villani, l’incubo con la donna indemoniata. Valladares ci sa fare tecnicamente, e le inquadrature dall’alto in campo lungo e lunghissimo sull’inferno verde creano un senso di inquietudine e pericolo imminente. Per un certo momento, sembra che la regia voglia utilizzare la tecnica del Pov, mostrando le vertiginose soggettive tramite la go-pro dei ciclisti, ma poi ci sorprende cambiando registro. L’incontro con l’uomo ferito accelera in modo improvviso il ritmo del film: il corpo che si copre man mano di bubboni purulenti fa pensare immediatamente a Cabin fever, tanto più che ci troviamo ancora in un bosco.

Quello che sembrava un action/thriller diventa così, improvvisamente, un survival-movie e un body-horror che omaggia senza pretese intellettuali il primo Cronenberg (Shivers in particolare) – a dire il vero, gli indizi c’erano già in precedenza. Se la regia è efficace, un’importanza decisiva è offerta dagli ottimi e disgustosi (in senso buono) FX gore e splatter, tutti di buon artigianato: dalle piaghe purulenti alle mutilazioni corporali, fino al piatto forte di Downhill, cioè dei mostruosi insetti che vengono fatti ingoiare alle vittime e crescono nei loro corpi fino ad esplodere in mostruosi tentacoli a metà fra La cosa e l’immaginario di Lovecraft. E forse il riferimento allo scrittore di Providence non è casuale, visto che Valladares ha l’intuizione geniale di far nascere quello che sembra un “virus” da una pratica esoterica e ancestrale nascosta nella sperduta foresta cilena.