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Don’t Worry Darling

2022
REGIA:
Olivia Wilde
CAST:
Florence Pugh (Alice)
Olivia Wilde (Bunny)
Chris Pine (Frank)

Il nostro giudizio

Don’t Worry Darling è un film del 2022 diretto da Olivia Wilde.

Trattasi di un film talmente insignificante, che per promuoverlo, l’intelligentia di categoria ha dovuto approfittare dei patinati e marginali scandali offerti da una produzione a dir poco amatoriale. Olivia Wilde, a detta sua, licenzia Shia LaBeouf, approfittandosi della sua nomea di ragazzaccio indisciplinato, si affida al dinoccolato teen-prince Harry Stiles (che, se non lo sai dirigere, si presenta come Pinocchio, ahimè, con i fili) e ingaggia – per fortuna – la neo scream queen Florence Pugh. Si scoprirà, in seguito, che la Wilde non solo non ha avuto niente a che fare con l’allontanamento di LaBeouf (ossequiatosi per mancanza di professionalità), ma che si è pure scopata l’ex “boy bander” pagandolo il doppio della Pugh… alla faccia del film femminista (sic!). Sceneggiato dalla sopravvalutata Katie Silberman e diretto, appunto, dalla Wilde stessa, Don’t Worry Darling, si svolge in un universo statunitense anni cinquanta volutamente manierato. Si ha subito l’impressione di essere in un “non luogo” e la fatica che, sia la sceneggiatura, che la regia costruiscono per tenerlo nascosto allo spettatore, fa quasi pena. Florence Pugh è tra le dedite mogli casalinghe perbeniste e garbata del solito immaginario americano, che, se limitatamente descritto, si staglia malamente sullo schermo, come un fondotinta di pessima qualità. Pochi sono riusciti a rendere memorabile l’immagine e lo spessore angosciante di quel periodo. Cito solo, per buoncostume, Tim Burton, Todd Haynes e Joe Dante.

Si intuisce immediatamente, come detto, che la protagonista è prigioniera di un matrix referenziale possibilmente architettato dal geloso, fallito ex fidanzato insoddisfatto. La donna fiera, indipendente, socialmente superiore all’uomo in questione (ricordo l’ossimoro del teatrino citato) viene imprigionata nella sua coscienza per vivere una vita migliore, seppur assoggettata. (Io, comunque, da fiera femminista, mi chiedo come possa far tanto schifo bere martini tutto il giorno a bordo piscina, con le mie migliori amiche… sto volutamente provocando). Il film è impacchettato meticolosamente; la fotografia di Matthew Libatique (nientepopodimeno) si spreca però nella mediocrità del racconto che manca di qualsiasi spessore psicologico. I personaggi sono cartonati stereotipi di banali cliché riconfezionati. Anche la Pugh, migliore in campo, non fa che ripetere la medesima sequenza per tutto il film. Si potrebbe prendere Don’t Worry Darling come esempio, quasi scolasticamente citabile, di talenti sprecati alla mercè di una produzione culturalmente inerte. Non basta assemblare un’accozzaglia di estri artistici, come il montatore Affonso Gonçalves, il musicista John Powell e la meravigliosa costumista Arianne Phillips (indiscussa epigona di Edith Head) per creare un’espressione valida. Ancor più se ci si vuole cimentare in produzioni di genere.

Troppo spesso, infatti (e ciò denota ignoranza e superbia), aspiranti attorucoli, e non solo, vanamente incensati da miopi produzioni che basano le loro scelte artistiche seguendo dinamiche da sterili rotocalchi, si fanno avanti nei confronti di un genere che pretendono di padroneggiare senza alcuno strumento culturale. Si pensa che sia facile fare un horror psicologico prendendo maestranze che hanno creato capolavori, interpreti che si destreggiano nel genere, qualche “starlette” che piace ai gggiovani e una storiella che va di moda. Invece il risultato appare proprio come l’ho descritto: un quadro dipinto col culo. Forse Shia LaBeouf non aveva tutti i torti a lasciare il set. La mancanza di professionalità si evidenzia soprattutto nel risultato del prodotto artistico. Mario Bava insegna che non è l’abbondanza di mezzi a creare le sensazioni viscerali che conquistano il pubblico di genere. Inoltre, se si vuole occasionare le donne, in questo esilarante processo, focalizziamoci su chi merita il privilegio del nostro interesse, se non altro perché qualcosa ha studiato.