Featured Image

Diavoli 2

2022
REGIA:
Nick Hurran, Jan Maria Michelini
CAST:
Alessandro Borghi (Massimo Ruggero)
Kasia Smutniak (Nina Morgan)
Laia Costa (Sofia Flores)

Il nostro giudizio

Diavoli 2 è una serie tv del 2022, diretta da Nick Hurran e Jan Maria Michelini.

2020, Milano, Piazza Duomo deserta: in un flash forward, Massimo Ruggero e Dominic Morgan si rincontrano dopo quattro anni e sono, finalmente, alla resa dei conti. É così che inizia il primo episodio della seconda stagione di Diavoli, trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo di Guido Maria Brera, dirigente d’azienda e scrittore italiano che, insieme alla regia di Nick Hurran e di Jan Maria Michelini e con il supporto della sceneggiatura di Frank Spotnitz, ha dato vita a un godibilissimo financial thriller targato Italia. “I dati sono il nuovo petrolio” questa è la tesi, l’antitesi e a la sintesi dell’intera seconda stagione. Alla guida del cast Alessandro Borghi nei panni di Massimo Ruggero, ormai CEO della NYL e Patrick Dempsey, ex mentore di Ruggero, sopraffatto dalla voglia di rivalsa e di ritornare al tavolo da gioco. Su di loro la cinepresa indugia in prima piani a mezzo volto: sono l’uno la nemesi dell’altro. Nel cast ritroviamo Malachi Kirby nei panni di Oliver Harris, Pia Mechler nel ruolo di Eleanor Bourg, Paul Chowdhry che è Kalim Chowdrey; si aggiungono Li Jun Li è Wu Zhi: Head of Trading della NYL, Joel de la Fuente è Cheng Liwei: Chief Strategy Officer della NYL, Clara Rosager che presta il volto a Nadya Wojcik: genio silenzioso, tra le figure più interessanti di questo nuovo capitolo. Oltre alle poche scene girate a Milano e a Roma, il set è stato allestito a Londra che, in questo atto più che nel primo, può ritenersi regina assolta dello show. Londra è presente in ogni ripresa, in tutta la sua austerità e bellezza: grigia, acre, elegante ma algida, sofisticata e ambigua, ultramoderna ma silenziosa, attenta ai molti e indifferente ai singoli.

Il romanzato intercetta abilmente la realtà, non lasciando alcuno scampo allo spettatore: tutto appare assolutamente plausibile. I Bitcoin, la Brexit, la campagna elettorale, la pandemia, i dati. Il rischio era quello di aver troppo da trattare e di dover gestire delle priorità, ma la finanza non si prende del tempo per decidere se scommettere o meno su aziende, presidenti, eventi, monete, e lo show, allo stesso modo, non da tregua al suo spettatore. Questa seconda stagione si rivela meno ostica della prima, perché, sia ben chiaro, l’umanità si divide in quattro categorie: quelli che amano lo yogurt in pezzi e quelli che lo detestano, quelli che ne capiscono di matematica e quelli che per fare 7 + 5 devo posare pollice, indice, medio, anulare e mignolo sul naso. Mentre al suo debutto lo show ha richiesto uno sforzo immane per non perdere le fila delle strategie e dei meccanismi della finanza, questi nuovi episodi appaiono decisamante più fluidi, intelligibili, non si tratta più di finanza, ma di politica.  Perché Massimo in quanto CEO della NYL ha accettato investitori e manager cinesi, fino a quando Morgan non ha insinuato in lui il seme del dubbio: è una guerra tra stati, USA e Cina, e la corsa al controllo dei dati si configura come una nuova corsa agli armamenti. Si tratta di una guerra senza armi, dove il Dato è il nuovo nucleare. Tensione costante, accordi sottobanco, strategia, interessi personali si intersecano con le vicende globali. A oggi però la Brexit, Donald Trump e la pandemia sembrano questioni superate; così, una serie sull’attualità, si attualizza ulteriormente quando inizia a palarci di guerra: non di una guerra territoriale, neanche di un braccio di ferro fra due grandi potenze, ma della smaniosa ricerca del controllo.

É un nuovo tuffo nel passato: è ancora l’occidente contro l’Asia, è il capitalismo contro il comunismo, è la democrazia contro la dittatura, sono gli Usa contro la Cina. É la Guerra Fredda dei giorni nostri, l’unica che nell’ultimo decennio questi due colossi economici si sono preoccupati di combattere; un conflitto che il Covid -19 prima e la Russa poi hanno congelato. É quello che avviene nell’ultimo episodio di Diavoli, allo scontro tra Usa e Cina viene data voce attraverso le parole di Dominic e Liwei: un Paese, il primo, dove gli ideali di libertà e di democrazia sono solo il frutto di una propaganda che offusca i suoi cittadini rendendo loro impercettibile l’effettiva stratificazione sociale ed economica plasmata dal capitalismo; un Paese, il secondo, fondato sull’uguaglianza ottenuta attraverso la soppressione della voce del popolo. Al centro, ancora una volta, l’Europa alla mercé delle grandi potenze che nell’episodio finale può contare su una voce fuori dal coro: è quella di Massimo Ruggero. Ma la storia ci insegna che i più grandi movimenti partono dal basso, spesso dalle nuove generazioni, nani sulle spalle dei giganti, che profetizzano un nuovo mondo che non è gestito dalla finanza, ma è quest’ultima ad essere gestita dal mondo. Un sistema finanziario, dunque, democratizzato. In Diavoli, questa battaglia sembra essere appena iniziata.