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Diabolik

2021
REGIA:
Manetti Bros.
CAST:
Luca Marinelli (Diabolik)
Miriam Leone (Eva Kant)
Valerio Mastandrea (ispettore Ginko)

Il nostro giudizio

Diabolik è un film del 2021, diretto dai Manetti Bros.

Negli anni ’60, un criminale efferato terrorizza Clerville. Machiavellico, spietato e inafferrabile, Diabolik mette a segno un colpo milionario dietro l’altro riuscendo sempre a sfuggire dalle grinfie dell’ispettore Ginko, un poliziotto acuto, caparbio e integerrimo. La vita del ladro vestito di nero conoscerà una svolta con l’arrivo in città di Eva Kant, ricchissima ereditiera in possesso di un tesoro dal valore inestimabile: il diamante rosa. Il film dei Manetti Bros. è tratto da uno dei più famosi albi di Diabolik scritto dalle sue creatrici, le sorelle Giussani: il numero 3, intitolato L’arresto di Diabolik. E si vede. Anzi, la scelta dei Manetti Bros. è proprio quella di evitare qualsiasi tentativo di calare il personaggio in un contesto più o meno contemporaneo per renderlo appetibile e moderno. Diabolik è, di fatto, un film in costume. Perché è ambientato in un’epoca storica che non esiste più, magari percepita in parte come non lontana dalla contemporaneità ma non di meno appartenente in maniera netta al passato.

Gli anni ’60 in cui Marinelli, Leone e Mastrandrea si muovono sono anzitutto uno stato mentale e una rigida poetica in senso visuale. Magari non sempre storicamente accuratissimi, qualche licenza poetica non manca, ma senza dubbio centrati dal punto di vista estetico. La visione di Diabolik ricorda da vicino la lettura di uno degli albi da edicola, uno dei primi, quelli del periodo d’oro dei fumetti neri italiani: quella figura nera senza pietà, che ammazza con disinvoltura e fa del gaslighting pesante persino con la sua fidanzata. La scelta di non edulcorarlo, di non renderlo più umano, paga. Una volta che il lettore fa il passo di accettare che il film è ambientato non solo negli anni ’60, ma in un fumetto anni ’60, gli ingranaggi girano che è una meraviglia. Tutto ha senso. Il camp che in qualche frangente ricorda il Batman di Adam West, il piano rocambolesco, il sense of wonder per una tecnologia che per lo spettatore contemporaneo ha un gusto squisitamente retrò. E la recitazione. Marinelli è un Diabolik freddo ai limiti del disumano, l’espressione perennemente accigliata di Mastrandrea mette in scena un Ginko nel cui cranio sembra di vedere le rotelle girare costantemente nel tentativo frenetico di pensare un passo avanti alla sua nemesi. Ed Eva Kant. Una dea. Algida quanto basta, bella da tuffo al cuore.

Tutto sul filo della macchietta ma quel passo indietro che mantiene la credibilità necessaria ad azzeccare in pieno tre personaggi impressi nell’inconscio collettivo di un paese. Tre maschere, perché tre maschere servivano. Diabolik è un noir con tutto il sapore del sense of wonder su cui si costruivano i momenti indimenticabili delle spy story di scuola bondiana, come i gadget che caratterizzano il personaggio: la Jaguar con tutti i trucchi per sfuggire alle volanti della polizia e le maschere ad alta fedeltà che riproducono con fedeltà assoluta le fattezze delle vittime designate. Tutto ciò che serve per fare la gioia di un fan di lunga data senza però limitarsi al puro fan service: il ritmo regge, la trama scorre e il film nel suo insieme diverte. Viene voglia di arrivare alla fine e non ci si annoia nemmeno per un momento. Quello dei Manetti Bros. è un atto d’amore a un sottogenere profondamente italiano, quello dei fumetti neri, di cui coglie la filosofia e la traspone in un film di una profonda correttezza filologica senza mai risultare posticcio.