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Diabolik – Ginko all’attacco!

2022
REGIA:
Manetti Bros.
CAST:
Giacomo Gianniotti (Diabolik)
Miriam Leone (Eva Kant)
Valerio Mastandrea (Ginko)

Il nostro giudizio

Diabolik – Ginko all’attacco! è un film del 2022 diretto dai Manetti Bros.

Prosegue il gioco di rievocazione filologica del mito di Diabolik da parte dei fratelli Manetti e se questa volta il ritmo è più pimpante e la confezione ancor più raffinata, i problemi che affliggevano il primo capitolo si ripresentano purtroppo anche in questo secondo appuntamento. Questa volta a essere adattato è l’albo numero 16 delle avventure del ladro creato dalle sorelle Giussani, quello in cui l’ispettore Ginko sferra l’attacco al cuore del covo di Diabolik, privandolo di tutte le sue risorse. Inoltre l’affascinante Eva Kant, compagna del criminale abbandonata dal compagno durante una rocambolesca fuga, lo tradisce e decide di consegnarlo all’acerrimo nemico. Ma le cose stanno proprio così? Come si diceva, in questo secondo capitolo i Manetti hanno aggiustato il tiro dal punto di vista del ritmo della narrazione che, se nel primo era ingessato, in questo è certamente più sostenuto. Altro asso nella manica di Diabolik – Ginko all’attacco! sono le spettacolari musiche di Aldo e Pivio De Scalzi che si muovono in quegli stessi territori Progressive Rock in cui eccellevano gli argentiani Goblin. È presente infatti un martellante giro di basso, ripetuto più volte nel corso delle indagini di Ginko, che non può non ricordare l’altrettanto bellissimo groove di Mad Puppet, che accompagnava il girovagare di Marcus/David Hemmings in Profondo rosso: una precisa citazione, se non un sentito omaggio. Altre sonorità, presenti all’inizio, sembrano riferirsi chiaramente a Back in N.Y.C. brano dei Genesis presente nell’album The Lamb lies down on Broadway, altro riferimento massimo per il mondo del Prog Rock.

I titoli di testa, ricamati sopra la scena di un balletto post-moderno, sono costruiti esattamente come quelli di un Bond-film, con il dovuto corredo di forme femminili che illanguidiscono in silhouette, tra i volti dei tre protagonisti del film che scorrono in panoramica. Anche la canzone dei titoli è decisamente bondiana nelle sonorità, avvicinandosi, per difetto, a certi echi, tipicamente bondiani, di John Barry. In altre parole, forse una delle cose migliori del film. Scenografia e costumi sono anche qui, come nel primo capitolo, perfetti nella ricostruzione filologica di tutta l’iconografia che caratterizzava le tavole di Diabolik, dal covo zeppo di marchingegni e trappole alla jaguar, fino alle mise dei tre protagonisti. Il montaggio, con un ampio, forse eccessivo, uso di split screen è congruo all’atmosfera retrò del film mentre gli zoom improvvisi, i dettagli e tutto il corredo visivo vintage del Diabolik dei Manetti è assolutamente coerente al materiale di partenza.

I problemi purtroppo arrivano con la sceneggiatura, i dialoghi e le performance di alcuni attori. Insomma roba non da poco. Sebbene ci siano dei colpi di scena, basta essere un minimo avvezzi alle logiche narrative del fumetto delle Giussani, o comunque di un qualsiasi thriller di media fattura, che il gioco diventa più che prevedibile. Senza anticipare nulla, nella prima metà del film è già tutto intuibile. I dialoghi inoltre sono di nuovo terribilmente didascalici e piatti, nonché improponibili al giorno d’oggi. Se da un lato è comprensibile la volontà di rimanere fedeli a un certo stile di scrittura, che andava bene negli anni ’60, dall’altro un’attualizzazione sarebbe stata necessaria, senza snaturare ovviamente, ma almeno per rendere il tutto meno pedissequo. Se Giannotti, come presenza fisica funziona, il doppiaggio molto meno. Miriam Leone bellissima e affascinante come sempre, ma nulla più di questo. Monica Bellucci nel ruolo di Altea, amante di Ginko, volendo essere gentili, non brilla. L’unico che funziona davvero, come nel primo capitolo, è Mastandrea. Ridateci per favore il Diabolik, kitsch, eccessivo, non fedele, ma vitale e scorretto di Mario Bava!