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Dexter – Stagione 4

2010
Titolo Originale:
Dexter
REGIA:
Marcos Siega
CAST:
Michael C. Hall
Jennifer Carpenter
Lauren Vélez

Il nostro giudizio

Le vicende post-matrimoniali del serial killer gentiluomo: come si evolverà la sua relazione con sua moglie e con la società dopo la gravidanza di Rita?

Prima questione: come può un serial killer riuscire a portare i pannolini a casa mentre ha in mano il suo coltello da lavoro? Seconda questione: cosa puoi insegnare ai tuoi figli se sei una specie di superuomo con la lama e una tua etica non proprio facile da comprendere? Terza e ultima questione: un destino esiste e soprattutto le nostre scelte possono cambiarlo? Dexter a differenza di tante altre serie (vedi Lost )non pone quesiti irrisolvibili, specchietti per le allodole, enigmi e codici indecifrabili.
Ha quelle tre-quattro carte da giocarsi che porta avanti fin dalla prima serie e che riesce quasi sempre se non a rinnovare a farle passare come nuove. Qui il solito dualismo lo vede affiancato da uno psicopatico, padre di famiglia interpretato dal depalmiano John Litghow. Se prima c’era stato il fratellino, lo scontro edipico con il padre (che continua fino a questa quarta stagione e siamo sicuri non cesserà se non con la fine della serie) e l’arrivo di Miguel Prado(terza stagione) unico uomo che sembrava comprenderlo, nella quarta stagione ritorniamo a quanto già sviluppato nella prima. Dexter scopre di non essere un caso isolato, scopre che i mostri vivono anche in famiglia e possono essere padri insospettabili. Scopre che il suo malessere (Dexter è probabilmente la più esistenziale delle serie tv), il suo essere diverso, è una condizione generale dell’umanità che di solito tira su una bella maschera, organizza feste e banchetti, fa sfoggio di normalità e armonia quando invece sta solo tenendo sotto controllo il caos (personale, fisico, naturale). A tal proposito la decima puntata risulta (insieme alla terza) il vertice ( e il vortice) di questa stagione.

Dexter si interroga sul suo valore, sul suo essere nel mondo (quanta filosofia in 40 minuti di tv). Tale valore, comprende, è dato dal suo rapporto con gli altri, non dalle uccisioni che compie (fino ad oggi la sua essenza), non dalla sua capacità di uccidere (e distruggere) ma dalla capacità di darsi agli altri (essendo, per esempio, padre). Non è un caso che il gesto salvifico che compie in finale di puntata valga più delle innumerevoli uccisioni che ha realizzato in questi anni. Lì non poteva cambiare nulla, non poteva riportare in vita nessuno, non poteva dare sollievo a nessuno (e qui in fin dei conti echeggia anche il problema della pena di morte in America) tutto al più poteva fare giustizia (una giustizia molto biblica, per un personaggio che però non ha più dei, né morali, ma tutto al più si fa dio, angelo sterminatore). Una giustizia che non rimaneva come esempio ( ecco la differenza con quella giudiziaria, quella istituzionale, che si fonda sul modello e su una serie di norme condivisibili) ma che alleviava soprattutto il suo bisogno di uccidere (come se il mondo fosse regolato in questo modo e a lui non fosse stata concessa in sorte una vita terribile e ingiusta, appunto diversa, diversissima dagli altri). Qui si innesta il tema del destino a cui risponderà, la puntata finale, oscura e tragica come mai nella serie.

La salvezza intravista scompare quasi immediatamente. L’aria diventa soffocante, il mondo per Dexter sembra rispondere sempre allo stesso modo. Il cambiamento non sembra possibile. Neanche la sua tipica ironia stavolta può salvarlo. Lo scherzo che gli dei gli hanno tirato è troppo grande. Esce di scena, con in braccio suo figlio e di nuovo altro sangue da dover accettare. Il rituale non si è esaurito. E tutto sembra precipitare in questa oscura ripetizione. Serie compresa. In cui il povero Quinn rispecchia la Debra Morgan della prima serie, La Guerta e Batista, Lundy e Debra, Dexter-Prado e Dexter-Trinity, in un gioco di rimandi e di reminescenze che se non letti come una mancanza di idee possono dar vita a quello che in fin dei conti è il cuore di una serie, il rituale appunto. Ogni settimana, un inizio e una fine ben delimitati, una serie di eventi diversi, ma simili che lasciano lo spettatore (nevrotico) in uno stato di piacere. Un po’ come Dexter che compie i suoi efferati omicidi per esaurire il suo male oscuro, in un circolo vizioso che non riesce a spezzare. Pena la fine della serie e del nostro (suo) godimento.